I militari formati dagli occidentali hanno deciso da soli di scalzare un governo democraticamente eletto e sostenuto dai poteri europei. A oltre un mese dal golpe, la situazione è tutt’altro che stabile
Il golpe in Niger è frutto di un paradosso: gli stessi militari formati dagli occidentali decidono da soli (e sorprendentemente senza farsi scoprire dai loro formatori) di scalzare un governo democraticamente eletto e sostenuto dallo stesso occidente da cui prendono le distanze.
C’è di più: a Niamey i militari avevano ricevuto particolari attenzioni sia sotto la presidenza di Mahamadou Issoufou (2011-2021) che sotto quella di Mohamed Bazoum da loro rovesciata, con cospicui aumenti di bilancio dedicati all’armamento e al reclutamento.
Soprattutto Bazoum aveva annunciato che il suo obiettivo era di portare il personale militare da 35.000 a 50.000 uomini entro il 2025 e a 100.000 entro il 2030. Negli ultimi cinque anni i battaglioni di intervento speciale del Niger avevano notevolmente rafforzato il proprio equipaggiamento e beneficiato dell'addestramento di partner come Stati Uniti, Francia e Germania. Il paradosso è che sono stati proprio costoro a ribellarsi e prendere il potere.
È passato ormai un mese dal golpe e malgrado ciò la situazione non si può dire del tutto stabile. Nessuno dei capi golpisti è sicuro che tutti gli uomini li seguirebbero in caso di un attacco degli eserciti della regionale ECOWAS, la quale sta minacciando di rovesciare i golpisti con la forza. Solo la guardia presidenziale sembra completamente schierata per il colpo di stato, mentre diversi altri corpi dell’esercito si sono trovati di fronte ad un fatto compiuto. Per ora stanno eseguendo gli ordini anche se si vocifera che non tutti sottoscrivano i recenti cambiamenti e molti restino per il momento a guardare. Gli esperti si chiedono quanti sarebbero davvero disposti a imbracciare le armi in caso di intervento armato dell'ECOWAS.
Il dilemma riguarda in particolare la Guardia Nazionale – nella quale Bazoum continua a riporre la sua fiducia pur dagli arresti domiciliari a cui è sottoposto– che conta circa 13.000 uomini, fa parte delle forze di sicurezza ma è posta sotto l'autorità del ministero dell'interno. Si tratta di militari un po’ particolari: gli elementi della Guardia Nazionale non appartengono all'esercito anche se sono stati addestrati all'interno di strutture militari, spesso da ufficiali dell'esercito. Posseggono tuttavia un notevole equipaggiamento militare. Di conseguenza tra i golpisti serpeggia una certa diffidenza, anche se superficialmente tutti sembrano allineati.
Nelle prime ore del colpo di stato diverse unità della Guardia Nazionale sono state riportate in tutta fretta nella capitale Niamey da Tillaberi, Ouallam e Diffa, a sorvegliare diversi siti strategici, compresi i locali della TV nazionale. Tuttavia il loro comandante, colonnello Midou Guirey, è stato arrestato e sostituito dal suo vice, Ahmed Sidian, così com’è accaduto in diversi altri corpi dell’esercito. Intanto la giunta militare sta portando avanti una forte campagna patriottica nazionale contro un eventuale intervento esterno, contando sul patriottismo spontaneo della popolazione.
Si moltiplicano le manifestazioni antifrancesi che raccolgono una facile popolarità, in particolare tra i giovani. Resta il fatto che i 1500 soldati francesi rimangono nella loro base in città: la giunta ne ha chiesto l’allontanamento ma Parigi non ha per ora intenzione di recedere anche se colloqui riservati sono in corso. Lo stesso ambasciatore transalpino in Niger è ormai ostaggio di una situazione di stallo: non riconoscendo le nuove autorità, Parigi ha perso la copertura diplomatica per il proprio rappresentante che non può nemmeno uscire dall’ambasciata.
Accanto ai francesi ci sono gli americani che hanno in Niger la base dei droni con cui combattono il jihadismo: la posizione di Washington è meno severa di quella di Parigi allo scopo di mantenere l’operatività della base che copre tutto il Sahel. A Niamey è stanziato un piccolo contingente di un centinaio di militari italiani. Secondo gli analisti di cose militari, se una forza dell’ECOWAS –soprattutto composta da nigeriani con un complemento ivoriano e beninese- entrasse in Niger, ci sarebbero perdite significative da entrambe le parti. Ci si chiede se in caso di conflitto, Niamey potrebbe contare sull'appoggio di Bamako e Ouagadougou, i paesi vicini governati dai militari golpisti.
Malgrado gli appelli di sostegno politico e la simpatia, la cosa è poco probabile anche a causa delle incognite logistiche: gli eserciti del Mali e del Burkina sono mobilitati contro i gruppi radicali islamisti e non potrebbero essere facilmente spostati.
Da un punto di vista politico nella regione stanno emergendo due schieramenti: da una parte Nigeria, Costa d’Avorio, Benin e Senegal favorevoli all’intervento armato. Dall’altra Togo, Ciad e Algeria che credono ancora nella mediazione. Tutti attendono la decisione del presidente nigeriano Bola Tinubu, senza il quale nessun’azione sarebbe possibile. Durante gli anni di presidenza del suo predecessore Mohammadu Buhari, la Nigeria si era tenuta distante dalle crisi dell’Africa francofona, poco interessata a prendere posizione. Ciò spiega perché nel caso dei putsch in Mali, Guinea Conakry e Burkina Faso, le sanzioni sono state meno dure e l’atteggiamento della stessa ECOWAS molto più tollerante.
Ora Tinubu ha una posizione diversa: sarebbe favorevole all’azione militare ma deve tener conto delle affinità etniche tra il suo paese e il Niger, che provocano riflessi politici interni. I golpisti nigerini sono per la maggior parte di etnia haoussa come i frontalieri della Nigeria. I sei stati nigeriani che confinano con il Niger (la Nigeria è una federazione di 36 stati) sono governati da membri della medesima etnia e non sono per nulla propensi all’intervento militare contro i loro stessi clan. Di questo Tinubu deve tener conto per non avviare una crisi politica anche ad Abuja dove sono in corso intensi negoziati.
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