Dopo il casus belli alla Camera, la capigruppo di martedì sera ha trovato una soluzione temporanea per non congelare i lavori parlamentari: i deputati in quarantena sono considerati in missione, non incidono perciò sul numero minimo necessario per validare le votazioni. In altri paesi si sono trovate strategie più lungimiranti
- Martedì pomeriggio alla Camera è mancato per due volte il numero legale per votare le mozioni collegate al prolungamento dello stato d’emergenza. Dopo la riunione dei capigruppo, si è trovato l’accordo per una soluzione temporanea.
- In altri paesi gli strumenti telematici sono già stati introdotti nella vita parlamentare, ma in Italia non c’è accordo per muoversi verso il voto da remoto e non ci sono ancora state altre proposte.
- Intanto, la settimana prossima arriva al Senato la Nota di aggiornamento del Def e i parlamentari in quarantena sono già almeno una decina. Per ora, non sono state previste misure straordinarie.
Mercoledì la Camera è riuscita a dare il via libera alle mozioni relative al prolungamento dello stato d’emergenza per il Covid-19 dopo due tentativi andati a vuoto nella giornata di martedì per la mancanza del numero legale.
Uno stallo dovuto al fatto che la maggioranza non era riuscita a mobilitare deputati a sufficienza: ha approfittato della situazione l’opposizione, che non ha partecipato al voto, rendendolo nullo.
La prospettiva, considerato che molte assenze erano dovute a quarantene preventive per i parlamentari che avevano avuto contatti a rischio, è che i lavori della camere si rallentino molto con l’aggravarsi della seconda ondata di pandemia.
Per porre un primo rimedio alla situazione, la riunione dei capigruppo di Montecitorio di martedì sera ha deliberato di considerare i deputati in quarantena in missione: questa decisione permette di escluderli dal conteggio per il numero legale, abbassando il quorum necessario per convalidare le votazioni d’aula.
Le prospettive
Una soluzione non definitiva per una situazione in continua evoluzione. Sul tavolo c’è la proposta del deputato del Partito democratico, Stefano Ceccanti, che propone la modalità di voto da remoto, che però fatica a coinvolgere i diversi gruppi per motivazioni differenti.
Se lo stesso Pd è diviso e vede messo in dubbio il valore del contributo fisico del deputato, il Movimento 5 stelle non vuole che la delegazione parlamentare appaia privilegiata rispetto ai lavoratori essenziali, costretti a fronteggiare il virus anche nella fase più acuta.
Anche Matteo Renzi si era espresso contro la chiusura del parlamento, mentre il senatore di Forza Italia, Andrea Cangini, in una lettera aveva scritto: «Non far lavorare i parlamentari significa certificarne l’irrilevanza sociale».
Eppure, in altre realtà la soluzione è già stata trovata. Infatti, la possibilità di riunirsi in via telematica è stata concessa fino alla fine dello stato d’emergenza anche ai consigli comunali da una norma presentata a gennaio in Consiglio dei ministri e poi convalidata dal parlamento a marzo.
Le soluzioni possibili
Il parlamento europeo e il Congresso degli Stati Uniti in primavera hanno autorizzato per la prima volta il voto da remoto. Nel caso di Bruxelles, in particolare, l’espressione della preferenza avveniva via mail, convalidata attraverso la firma della scheda, da rispedire al parlamento.
Il Congresso americano, invece, ha approvato una proposta dei democratici che permette riunioni deliberative di tutte le Commissioni, una normativa che va oltre le regole già in uso al Senato, che concedono le audizioni in videoconferenza. Per i voti in plenaria, è consentito ai deputati il voto per delega.
Anche il Regno Unito a maggio ha dato il via all’esperienza telematica con il primo question time da remoto e a settembre 2020 ha reso stabile il cosiddetto proxy voting, cioè la possibilità, per i membri della Camera dei Comuni, di delegare il proprio voto a un altro deputato nel caso in cui fossero impossibilitati a presenziare durante le votazioni.
Stesso discorso per l’Assemblée nationale in Francia: dopo che a Parigi l’allerta per il coronavirus è salita al livello massimo, il presidente, Richard Ferrand, ha imposto il tetto massimo del cinquanta per cento alle presenze, come succede anche per teatri e università. Il resto dei voti dei 577 deputati avverrà per procura.
La Spagna aveva avviato la digitalizzazione già nel 2011, quindi ha dovuto solo ampliare le possibilità in cui è permesso utilizzare gli strumenti telematici: il 25 marzo scorso è stata riconosciuta a tutti i deputati delle Cortes generales la possibilità di ricorrere al voto no presencial.
In Germania è stato fissato martedì scorso l’obbligo di indossare la mascherina in tutti i luoghi chiusi del Reichstag, il palazzo del parlamento. In primavera, per votare l’addio al freno del debito, che richiedeva la partecipazione di almeno 355 dei 709 deputati, furono installate urne in diverse zone del palazzo, in modo che i parlamentari non si incrociassero.
Insomma, di soluzioni efficaci guardando fuori dai confini nazionali, ma anche dentro, se ne trovano. Sembra meno facile, invece, trovare un accordo tra le forze politiche che permetta di non congelare l’attività del parlamento italiano: una sfida importante, anche perché all’orizzonte, mercoledì prossimo, c’è il voto sulla Nadef in Senato, dove non è ancora stata prevista nessuna procedura eccezionale.
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