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Il premier Bennett ha gettato la spugna dopo che la sua fragile coalizione si è infranta contro l’ostruzionismo di Netanyahu su una legge sulla Cisgiordania.
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Ora punta ad aumentare l’affluenza alle urne dei suoi sostenitori alle prossime elezioni, che potrebbero essere già in autunno.
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Nel frattempo Yair Lapid diventa primo ministro: sarà lui ad accogliere Biden in Israele il prossimo mese.
Dopo un anno di opposizione ostinata e senza quartiere Benjamin Netanyahu, ex primo ministro e leader dell’opposizione israeliana, è riuscito ad abbattere “l’esecutivo del cambiamento” che lo aveva spodestato nel giugno del 2021, mettendo fine a un’era politica durata per 12 anni e mezzo.
In questo periodo non ha mai smesso di farsi chiamare “capo del governo” dai suoi sostenitori. La settimana prossima si prepara a festeggiare lo scioglimento del parlamento e, a meno di colpi di scena, l’annuncio delle quinte elezioni in poco più di tre anni.
A guidare il paese nel frattempo sarà Yair Lapid, secondo quanto previsto dal suo accordo con il premier Naftali Bennett.
Per dodici mesi Bibi ha sferrato attacchi durissimi contro Bennett, accusato di aver tradito le destre accettando il sostegno politico dei progressisti.
Ha tacciato il partito arabo della coalizione di «sostegno al terrorismo», e per estensione anche gli altri sette partiti. Ha fatto gola ai conservatori nella maggioranza promettendo ruoli importanti in futuri governi a guida Netanyahu, causando una serie di defezioni che infine sono risultate fatali.
«Ci sono uomini assetati di soldi, uomini che vogliono starsene in pace e godersi il tempo con le loro famiglie, e ci sono uomini ossessionati dal loro status, come Netanyahu», dice un suo ex braccio destro chiedendo rimanere anonimo.
«Lui ha bisogno di sentire intorno a sé l’effetto del proprio potere, di circondarsi delle attenzioni dei suoi assistenti. Ad oggi non possiede un telefonino. La retrocessione da primo ministro a leader dell’opposizione, peraltro sotto processo, per lui è stata durissima».
Il colpo di grazia Netanyahu lo ha sferrato dimostrando di essere pronto a tutto pur di mettere fine all’esperienza del governo Bennett.
Nelle scorse settimane la Knesset, il parlamento di Gerusalemme, doveva votare le clausole che estendono la legge civile israeliana ai quasi mezzo milione di residenti ebrei nei territori occupati. Vengono rinnovate ogni 5 anni dal 1967, lasciando i palestinesi sotto regime militare.
Di regola il voto è poco più di una formalità, perché la misura è osteggiata soltanto dalle frange estreme della sinistra e dai rappresentanti della minoranza araba.
Maggioranza in tilt
Ma Netanyahu ha deciso di mettere in difficoltà la coalizione di governo votando contro le norme, a costo di fare torto ai propri stessi principi. Ha mandato in tilt la maggioranza, che in questa circostanza non poteva contare sulla componente araba, e indotto un compagno di partito di Bennett a dichiarare l’ultima delle defezioni, quella decisiva.
Un azzardo riuscito in pieno, visto che con l’annuncio di nuove elezioni le norme si rinnovano comunque in automatico.
«Abbiamo capovolto ogni pietra (per tenere insieme la coalizione)», ha detto Bennett nel discorso in cui ha annunciato la scelta di gettare la spugna, usando un’espressione ebraica che significa «tentare tutto il possibile».
«Fra dieci giorni sarebbero scadute le norme sulla Giudea e sulla Samaria (i termini ebraici che identificano la Cisgiordania, ndr.)», ha detto, e «Non potevo permetterlo». «I rischi di sicurezza e caos costituzionale erano troppo gravi».
Senza neppure aspettare il discorso congiunto di Bennett e Lapid, Netanyahu ha pubblicato un video in cui promette di tornare al potere.
«Il governo che faceva affidamento sui sostenitori dei terroristi, trascurava la sicurezza degli israeliani, che portava il costo della vita a livelli insostenibili, imponeva tasse non necessarie, minacciava l’ebraicità del paese, quel governo se ne sta andando a casa», ha detto. «Ne costruirò uno guidato dal Likud, con le altre forze nazionali».
Alleanza debole
Il filosofo Micha Goodman, autore di diversi libri fra i quali il più famoso è Catch 67 in cui sostiene il conflitto arabo-israeliano, in quanto insolubile, vada solo “ridotto” di intensità, dice che la coalizione era comunque destinata a infrangersi.
«La legge è stata solo un’opportunità per mettere in imbarazzo l’alleanza, che dall’inizio era molto debole», spiega l’intellettuale considerato maître-à-penser del governo del cambiamento.
«Ma rimane assurdo che tutte le destre pro-insediamenti abbiano votato contro la misura: ormai la politica in Israele non è più cosa fa bene al paese, ma cosa fa male agli altri partiti», dice.
Già lo scorso luglio Netanyahu aveva votato contro una legge che impedisce le riunificazioni familiare a palestinesi che sposino cittadini israeliani, pur di mettere in difficoltà il nuovo governo.
Nelle sue apparizioni mediatiche Bibi appare compiaciuto, ma non ancora raggiante. La strada per ritornare al potere non è del tutto spianata.
Gli alleati naturali di estrema destra che lo hanno abbandonato nel famoso biennio delle quattro elezioni, come il ministro delle Finanze, Avigdor Lieberman, e quello della Giustizia, Gideon Saar, rimangono decisi ad impedire in ogni modo un suo ritorno al governo.
«La sua strategia ora è puntare ad una maggiore affluenza al voto fra i suoi sostenitori», dice Goodman. «È più facile mobilitare elettori affamati dopo un anno all’opposizione, rispetto a quando erano chiamati ai seggi dopo tanti anni di governo. Ci sono almeno 4-5 deputati che potrebbe recuperare».
Difficile però fare previsioni. «Ormai la politica, soprattutto in Israele, sembra attraversare una stagione paragonabile al riscaldamento climatico: il tempo atmosferico diventa imponderabile, eventi estremi come la Brexit, l’avvento di Trump, e la formazione di una coalizione impossibile come quella “del cambiamento” sono più frequenti, ed è difficile dire cosa avverrà domani. Domenica avevo sentito al telefono Bennett per un suo discorso, e non ha nemmeno accennato al suo proposito di lasciare».
La transizione, nel frattempo, offre a Yair Lapid, ex star televisiva e protagonista politico di lunga data, un’opportunità di mettersi alla prova come leader del paese.
Fra il 13 e il 16 settembre sarà lui ad accogliere il presidente degli Stati Uniti, Joe Biden, nello stato ebraico, nel contesto di un viaggio in medio oriente che prevede passaggi anche in Arabia Saudita e nei territori palestinesi.
Lapid, in preparazione del suo battesimo del fuoco, ha già modificato le foto dei suoi profili social inserendo una vecchia immagine di lui che scherza con Biden.
«Dobbiamo tornare all’idea di unità fra tutti gli israeliani», ha detto nel suo primo discorso da futuro primo ministro, in linea con la filosofia del governo del cambiamento. «Non lasciamo che le forze dell’oscurità ci distruggano dall’interno», ha aggiunto lanciando la sfida a Netanyahu.
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