Durante la coppa del mondo femminile in Nuova Zelanda e Australia, e a poche settimane dai campionati europei di Flag Football femminile in Irlanda, lo sviluppo dello sport femminile gioca un ruolo centrale nell’evoluzione delle rappresentazioni.

Esattamente come il cinema, la letteratura e l’arte in generale, attraverso le immagini che produce, lo sport offre nuove possibilità sui vari e molteplici modi di stare al mondo, sulle astuzie di gioco, su quelle cognitive e relazionali tra gli individui.

«Il calcio è un gioco stupido per persone intelligenti», ricorda spesso la vice capitana della nazionale italiana, Elena Linari, a riprova del fatto che questo sport, lontano dai luoghi comuni più diffusi, richiede una grande dose di intelligenza.

Lo sport gioca un ruolo fondamentale nella costruzione delle generazioni future, nella rappresentazione dei diversi modi di essere di una società, ed è proprio nella consapevolezza di tutto ciò - e al fine di promuovere l’inclusione - che squadre amatoriali, come I Lupi a Roma o Les Dégommeuses in Francia, si sono sviluppate.

In un’epoca in cui l’accesso alle risorse è sottoposto a forti pressioni, in cui le carenze di ogni tipo aumentano costantemente e in cui la produzione e la realizzazione attraverso il lavoro rappresentano quasi l’unico elemento di un individuo a cui si dà valore, si potrebbe pensare che non ci sia spazio per il superfluo e, quindi, si potrebbe dubitare dell’utilità di qualsiasi cosa che appartenga alla sfera dell’intrattenimento.

Eppure, è proprio in questo contesto che la cultura e lo sport risultano fondamentali per rafforzare i legami tra gli individui. E qui lo sport ha un ruolo politico, non in senso di chi prende parte ad una fazione politica, ma nel senso etimologico stesso della parola: il legame tra i cittadini e l’organizzazione della città.

Al contrario, ci permette di riconnetterci con il nostro corpo, con tutto ciò che rende gli esseri umani più che dei semplici robot atti alla produzione di beni di consumo, ma anche di creare altri spazi per lo svago, per lo stare insieme, per il pubblico, per il gioco, per il collettivo, per noi stessi.

Calcio e disuguaglianze

È forse paradossale sottolineare questa necessità in un momento in cui alcuni sport, come il calcio maschile, non hanno mai generato così tanti profitti. Ma per quanto sia piacevole il calcio maschile, quest’ultimo non riflette forse il crescente divario tra gli ultra-ricchi e il resto della popolazione? Non è forse diventato soprattutto un’arma di soft power, oltre che una lente di ingrandimento dell’elitarismo delle società odierne?

Chi ha successo riceve in un anno ciò di cui non ha bisogno di guadagnare per tutta la vita, mentre chi fallisce si ritrova a lottare per sopravvivere. La finanziarizzazione di questo ambiente, le multiproprietà e le acquisizioni da parte di fondi d’investimento che non hanno nulla a che vedere con la storia delle società allontanano progressivamente queste ultime dalle loro origini.

Il calcio maschile, oltre a veicolare una povera varietà delle possibili mascolinità, in particolare attraverso il suo rifiuto delle minoranze sessuali, incarna tutto questo. La gloria di cui godono i giocatori è spesso un riflesso della posizione che occupano sul campo, come nel resto della società: nessun pallone d’oro per il portiere o il difensore, e tutti gli onori per l’attaccante, figura spesso più individualista e concentrata sulle sue statistiche.

Oltre lo sport

Ecco perché promuovere il calcio femminile è importante, in tutto ciò che rappresenta e perché permette l’espressione di altri valori. E non solo durante le grandi competizioni, quando si celebrano le atlete di tanto in tanto perché permettono allo sciovinismo e alla xenofobia di uscire allo scoperto. Un vero sviluppo di questo sport fa sì che tante donne possano vivere quotidianamente la loro passione, cosa che prima era possibile solo per procura.

Si può dire che il calcio femminile sia più lento, meno rapido - anche se non si tratta di essenzializzare il corpo delle donne - ma resta comunque uno sport affascinante che suscita forti emozioni, se praticato nelle giuste condizioni e da giocatrici professioniste che dispongono dei mezzi per esprimere appieno il loro talento ad altissimo livello.

Basta confrontare le due prime squadre dell’As Roma di questa stagione. La squadra maschile, che è arrivata in finale di Europa League, ha attuato un gioco faticoso da seguire, con una semifinale paragonabile più alla lotta greco-romana che al calcio.

Allo stesso tempo, la prima squadra femminile, guidata dalla capitana Elisa Bartoli, da Elena Linari e dalla brasiliana Andressa Alves, ci ha incantato con uno stile d’attacco combinato e ricco di passaggi che ricordano il grande Barcellona, e ha vinto il suo primo scudetto.

Il fascino del gioco praticato da queste atlete si traduce nella loro vita pubblica come un continuum di interesse reciproco e strategia di gruppo. 44 giocatrici, di cui diversi membri della nazionale italiana, hanno evidenziato «l’impatto ecologico del calcio» per il quale vogliono fare qualcosa, puntando in particolare alla lunga trasferta in Oceania per la Coppa del Mondo.

Elena Linari ha sfilato al Pride di Roma nel giugno 2023, il primo dell’èra Giorgia Meloni, in un periodo in cui i diritti delle persone Lgbtqi sono sotto attacco, esponendosi a reazioni potenzialmente violente ma ritenendo che la sua visibilità fosse importante in questo contesto.

Non si tratta di chiedere alle atlete e agli atleti di assumere necessariamente una posizione politica, ma di rilevare una corrispondenza tra un gioco collettivo, altruista e disciplinato, il loro fair play, e le azioni pubbliche segnate dall’attenzione per gli altri, dal coraggio e dalla spontaneità a favore dei diritti e dell’ambiente.

Non si tratta nemmeno di dire che il calcio femminile sia privo di rivalità o di interessi economici. Non si tratta nemmeno di ridurlo all’osso, ma di considerare che si trova ad una svolta cruciale e che il suo margine di sviluppo può essere un’opportunità per esplorare altre possibilità di fare lavoro di squadra in ambienti competitivi.

Recuperare i princìpi

Quello dello sport è, infatti, per sua natura un mondo competitivo, di concorrenza, cioè costituito da persone che perseguono lo stesso obiettivo, che, però, non può essere raggiunto da tutti. Eppure, è in questo ambiente competitivo che sembrano esprimersi valori come la solidarietà e il rispetto per l’altro, il fair play, l’inclusione e il rispetto delle differenze.

Come li ha descritti Elena Linari nel 2020: «In passato, dopo uno scontro di gioco, si diceva “non fare la femminuccia”. Ora preferisco dire: “non fare l’uomo”. Noi non simuliamo, non siamo finte. Di noi vengono apprezzati i princìpi che il calcio maschile ha perso: la purezza, la semplicità, l’amore per il gioco. Chi viene a vederci fa un tifo appassionato ma mai violento».

Il Flag football

Un altro esempio è il Flag football, una variante dello sport più popolare degli Stati Uniti: il football americano. Viene praticato da squadre maschili e femminili ed è una versione più rispettosa del corpo degli atleti, in quanto vieta i placcaggi e limita il contatto fisico tra i giocatori, lasciando spazio all’esaltazione di altre abilità tecniche come il dribbling, le finte di corpo, gli intercetti, la reattività e l’esplosività, l’anticipazione e la tattica.

In questo senso, il Flag football è uno sport del futuro, destinato a diventare una delle discipline praticate alle Olimpiadi di Los Angeles nel 2028. Questo particolarissimo sport di squadra permette di riconsiderare il posto degli atleti che intrattengono di solito la nostra vita cittadina.

Il loro ruolo li espone a continui logoramenti e a ripetute usure del corpo nel corso della loro carriera, in particolare subendo parecchi colpi e commozioni cerebrali, giocando anche con infortuni che li lasciano con gravi handicap, e poi, una volta terminata la carriera, sprofondare nella precarietà, come accade per molti?

Se i campionati europei di Flag football venissero trasmessi, non c’è dubbio che atlete come Elisa de Santis, campionessa del mondo della nazionale francese e migliore giocatrice d’Europa, avrebbero il risalto che giocatrici e giocatori meritano e che questa disciplina meno conosciuta sarebbe vista come l’occasione che offre nuove possibilità di espressione attraverso lo sport.

Altre forme di sport

In generale, dovremmo porci la seguente domanda: perché questi sport non sono stati praticati per così tanto tempo dalle donne? E se questo dibattito non offrisse forse l’opportunità di sviluppare sport più attenti alle questioni ecologiche, più inclusivi e più rispettosi della salute degli atleti, esplorando altri modi di praticarli e di essere innovativi?

Non in termini di evoluzione delle regole di gioco, piuttosto in termini di stili e di tattiche, di modi di fare squadra, e di rispetto dell’altro? Quando geni come Arrigo Sacchi e Pep Guardiola, o i loro equivalenti femminili, alleneranno delle squadre femminili, forse allora capiremo che il calcio femminile non era una versione minore di quello maschile, ma che aveva solo bisogno dei mezzi per potersi sviluppare, e che poteva, al contrario, permettere l’espressione di altre forme di bellezza, di intelligenza e di relazione tra gli atleti, di valori di sorellanza e di costante innovazione collettiva.

Questo commento è stato originariamente pubblicato in edizione francese su Le Monde il 20 luglio 2023. Traduzione di Federica Lamberti.

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