- La Tunisia è sull’orlo di un colpo di stato interno a causa di un presidente dalle tentazioni autoritarie ma soprattutto di una situazione socio economica molto difficile dovuta al Covid e al crollo del turismo.
- Ci sono dei momenti in cui bisogna dar prova di rapida reazione senza esitare, anche per lanciare un segnale di vicinanza.
- La medesima cosa si può dire del Libano, l’altra democrazia – sui generis – rimasta nel Mediterraneo sud. L’intricata crisi libanese è davanti ai nostri occhi da tempo: crollo finanziario ed economico, conseguenze drammatiche della guerra siriana, profughi a milioni, Covid, blocco istituzionale, scontro tra influenze esterne, esplosione al porto di Beirut.
Ora tutti protestano e si lamentano ma fino a ieri in pochi si interessavano: la Tunisia è sull’orlo di un colpo di stato interno a causa di un presidente dalle tentazioni autoritarie ma soprattutto di una situazione socio economica molto difficile dovuta al Covid e al crollo del turismo. Poche settimane fa da Tunisi si alzava un grido di dolore: mancava ossigeno negli ospedali. È arrivato anche un carico dalla vicina Libia malgrado la sua crisi, ma dall’Italia niente. Che ci voleva a mandare l’ossigeno necessario agli ospedali tunisini? Tra l’altro abbiamo in loco ottime ong per agire. Ci sono dei momenti in cui bisogna dar prova di rapida reazione senza esitare, anche per lanciare un segnale di vicinanza. La popolazione tunisina si sente abbandonata e chissà a chi si affiderà in futuro. Sappiamo già che in quelle aree il populismo della disperazione potrebbe spingere il paese verso soluzioni azzardate.
L’Europa, soprattutto Francia e Italia come paesi più vicini, condannano giustamente il colpo di mano del presidente. Dal punto di vista politico non è una sorpresa: Kaïs Saïed aveva già minacciato di prendere i pieni poteri stracciando la costituzione. Malgrado ciò a Roma e a Parigi ci si rende conto troppo tardi che la Tunisia sta prendendo una piega pericolosa. Ne pagheremo il prezzo in termini migratori certamente, ma soprattutto in termini di stabilità e diritti: si tratta della fine di una fragile democrazia, così difficilmente costruita, nata dalle primavere arabe e unico risultato davvero positivo di quella stagione. È stata lasciata deperire, abbandonata alla sua crisi. Eppure si tratta di un piccolo paese, grande quanto una regione italiana: non ci vorrebbe tanto a salvarla dai demoni autoritari. Su queste pagine abbiamo diverse volte lanciato tale appello in favore della democrazia tunisina, per favorire un impegno congiunto e cooperativo di Roma e Parigi. Italia e Francia assieme possono ancora salvare la Tunisia.
La medesima cosa si può dire del Libano, l’altra democrazia – anche se sui generis – rimasta nel Mediterraneo sud. L’intricata crisi libanese è davanti ai nostri occhi da tempo: crollo finanziario ed economico, conseguenze drammatiche della guerra siriana, profughi a milioni, Covid, blocco istituzionale, scontro tra influenze esterne, esplosione al porto di Beirut. Non occorre essere particolarmente attenti per comprendere che serve qualcosa di più che retoriche dichiarazioni. Quando anche il Libano, dove non si riesce nemmeno a costituire un governo, cadrà nelle mani di un’ipotesi autoritaria o totalmente preda di perniciose influenze esterne, non saranno sufficienti le solite lamentale o condanne. A quel punto sarà troppo tardi.
È una responsabilità tutta italiana non lasciare affondare le sole due democrazie arabe rimaste sulla sponda meridionale del Mediterraneo, delle quali l’Italia era primo o secondo partner commerciale da decenni. Il nostro governo reagisca con prontezza proponendo ai francesi un piano di rinascita per entrambi i piccoli paesi. Non si può accusare nessun altro: è nostra responsabilità, è compito nostro, prima che sia troppo tardi.
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