- Alle elezioni presidenziali del 2020 l’età dei candidati è stata la più alta di sempre. Nuove forze stanno spingendo per emergere. A questo si abbina la storica impopolarità del Congresso.
- L’attenzione quindi si rivolge ai governatori, il cui lavoro somiglia molto a quello dei presidenti su scala ridotta. Il governatore della California e quello della Florida sono i rappresentanti delle due fazioni della guerra culturale.
- Entrambi hanno usato questa tornata elettorale per preparare il terreno verso il 2024, quando tenteranno di spezzare l’attuale gerontocrazia del duopolio Biden-Trump.
Alle elezioni presidenziali del 2020 l’età dei candidati è stata la più alta di sempre: settantaquattro anni per l’uscente Donald Trump e quasi settantotto per lo sfidante Joe Biden.
Nuove forze stanno spingendo per emergere. A questo si abbina la storica impopolarità del Congresso: secondo l’ultimo sondaggio Gallup del 20 ottobre, il 75 per cento degli americani ritiene l’assemblea legislativa federale non stia facendo bene il proprio lavoro.
L’attenzione quindi si rivolge ai governatori, il cui lavoro somiglia molto a quello dei presidenti su scala ridotta. Non è più tempo però per un modello di governatore pragmatico e centrista, come lo erano in modo diverso Bill Clinton in Arkansas e Mitt Romney in Massachusetts, due politici che vantavano la loro capacità di lavorare con gli avversari.
Questa è l’epoca dei guerrieri culturali. A emergere quindi in queste elezioni di metà mandato sono i due governatori all’estremo opposto dello spettro: il californiano Gavin Newsom e Ron DeSantis della Florida.
Poche preoccupazioni
Newsom, ex sindaco di San Francisco ed ex vicegovernatore, è un portabandiera delle cause progressiste mentre al contrario DeSantis è un “guerriero culturale” che difende i valori che stanno a cuore alla destra repubblicana.
Hanno una cosa in comune: questa tornata elettorale ha causato loro ben poche preoccupazioni. Entrambi verranno eletti con grande facilità contro avversari con poche speranze.
In California è più forte il brand progressista dell’immagine appannata del governatore, già oggetto di un voto di recall lo scorso anno, mentre in Florida DeSantis ha saputo trasformare quello che era lo stato in bilico per eccellenza in un bastione repubblicano.
DeSantis meglio di altri ha saputo sfruttare quello che lo studioso della Brookings Institution Shadi Hamid ha definito il “brown backlash”, letteralmente il “contraccolpo marrone”, espressione che definisce la riluttanza delle minoranze ad accettare il sistema di valori del progressismo di matrice democratica.
Entrambi vogliono affermare che il loro stato è un modello per l’intero paese: la California è un “rifugio sicuro” per i migranti irregolari e per le donne che desiderano interrompere la gravidanza.
Ha legalizzato la marijuana a scopi ricreativi ed è all’avanguardia sul clima: dal 2024 non verranno più concesse autorizzazioni all’estrazione di gas sottomarino e nel 2045 spariranno anche le auto a combustione interna.
L’altra costa
In Florida e l’approccio è totalmente diverso: DeSantis si è opposto ai lockdown e alle mascherine, nei suoi spot i suoi presunti sostenitori lo ringraziano «per averci fatto pregare liberamente» e per «non averci mai separato dai nostri nonni».
Ha anche impedito alle aziende private di richiedere certificati vaccinali ai propri dipendenti, rimangiandosi uno dei principi sacri del partito repubblicano, ovvero “my business, my choice”: la mia impresa la gestisco come voglio.
Lo scorso marzo ha anche rilanciato un arretramento dei diritti degli studenti con la cosiddetta legge dei diritti genitoriali, comunemente denominata “don’t say gay” e che proibisce di trattare temi legati all’identità sessuale fino ai nove anni d’età.
Sia Newsom sia DeSantis sono visti con sospetto dai leader dei rispettivi partiti. Non solo per la loro età relativamente giovane (Newsom ha 55 anni, DeSantis 44) ma perché non nascondono di voler puntare alla Casa Bianca.
Newsom ha smentito apertamente, dicendo di sostenere “totalmente” il presidente Joe Biden, mentre DeSantis non lo ha dichiarato, mettendosi in rotta di collisione con Donald Trump, che in passato lo ha accusato di «non avere le palle» di dire il suo status vaccinale e ora lo ha soprannominato “Ron DeSanctimonious”.
A differenza di molti suoi colleghi ha deciso di non negare il diritto all’aborto dopo la sentenza della Corte suprema dello scorso giugno, ma di limitarlo al terzo mese e mezzo di gravidanza.
Lo scontro
Fatalmente due personalità così forti si dovevano scontare in qualche modo: lo scorso settembre DeSantis ha riempito un aereo charter con 48 migranti per spedirli a Martha’s Vineyard, l’esclusiva località di villeggiatura del Massachusetts.
Un’azione dai contorni ancora poco chiari, dato che queste 48 persone sono state radunate in un altro stato, nel Texas di un altro governatore repubblicano, Greg Abbott, che non sapeva nulla di questa mossa.
L’idea dietro questo trasferimento forzato era quello di indurre i liberal a capire che occorre limitare l’immigrazione clandestina e mostrare a tutti la loro “ipocrisia”. E ovviamente farli arrabbiare.
Cosa avvenuta puntualmente, ma non nel senso che DeSantis si aspettava: Newsom lo ha accusato di “traffico di esseri umani” e ha invitato il dipartimento di Giustizia a indagare sul suo collega e lo ha sfidato in un dibattito.
Al momento tutto ciò è ben lungi dall’avvenire, ma entrambi gli esponenti politici si stanno scaldando per il 2024 e per tentare di spezzare l’attuale gerontocrazia del duopolio Biden-Trump, non sappiamo ancora con quale fortuna.
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