Quando all’alba di ieri ha iniziato a circolare la notizia dell’uccisione del leader di Hamas Ismail Haniyeh, in Cisgiordania il capo del governo palestinese Abu Mazen ha proclamato un giorno di sciopero e ha fatto abbassare a mezz’asta tutte le bandiere.

Contemporaneamente sulle chat e sui social network ha cominciato a circolare una chiamata alla protesta di piazza, un invito a manifestare pubblicamente cordoglio e collera. E infatti, nelle principali città della West Bank, in migliaia sono scesi in strada.

Proteste di piazza

«La folla ha iniziato ad accalcarsi nel centro di Nablus molto presto», racconta il giornalista Habib Nazzal. «In meno di un’ora c’erano già oltre mille persone con le bandiere di Hamas e le foto di Haniyeh. Poi il corteo si è mosso tra le vie del centro, mentre i negozi erano chiusi e la gente ai lati della strada applaudiva. C’erano anche tanti bambini».

La stessa protesta c’è stata anche a Ramallah dove ci sono le sedi del governo palestinese. E proprio sotto il palazzo del presidente Mahmoud Abbas la folla ha urlato slogan di vendetta e inviti alla resistenza palestinese. La protesta ha coinvolto anche Betlemme, in profonda crisi per la mancanza di turismo e fedeli da tutto il mondo, e Qalqilya, la città ghetto, completamente circondata dal muro israeliano.

«La situazione è stata abbastanza tranquilla ovunque – spiega il giornalista Nazzal – tranne che a Hebron». Nella città che da sempre è bastione di Hamas in Cisgiordania, la rivolta è stata più accesa. «C’era molta agitazione – racconta ancora Nazzal – e molta rabbia e ci sono stati anche momenti in cui è sembrato che potesse accendersi lo scontro con le guardie israeliane in uno dei check-point del centro». La situazione è rimasta tesa fino a sera, anche quando la folla si è dispersa.

«Temiamo che nelle prossime notti potranno esserci degli assalti dei coloni, purtroppo succede sempre più spesso», spiega il giornalista. E proprio per la crescente tensione tra coloni e palestinesi, nelle campagne la reazione alla morte di Haniyeh è stata molto contenuta. La paura di attacchi diretti è crescente e i contadini preferiscono non esporsi, se non strettamente necessario.

«Ci dispiace per la morte di Haniyeh – spiega Murad, un coltivatore di olive della zona di Salfit – ma noi combattiamo tutti i giorni con i coloni che ci bruciano gli alberi, ci occupano la terra e ci mandano via con i fucili. La nostra è una guerra locale di cui la geopolitica non si cura. Certamente seguiamo le vicende internazionali sui giornali e sui social, ma di protestare pubblicamente, qui, non ce la sentiamo. Ci dispiace per Gaza – aggiunge Murad – perché speravamo tutti in un accordo per il cessate il fuoco. E adesso si ricomincia da capo».

La reazione della Striscia

Se in Cisgiordania la notizia della morte di Haniyeh è stata accolta con rabbia, a Gaza è andata diversamente. «Quando ci siamo svegliati e abbiamo saputo che Ismail Haniyeh era stato ucciso quasi tutti nella Striscia hanno pianto», racconta la giornalista Noor Shirzada.

«Ma non tanto per la morte di un uomo, ne muoiono a decine ogni giorno, quanto per la morte della pace. Non hanno ammazzato il leader di Hamas – dice ancora – ma un mediatore che poteva fare la differenza al tavolo delle trattative».

A Gaza l’uccisione del capo di Hamas ha provocato molto sgomento, perché, in fondo, si stava cominciando a intravedere una piccolissima possibilità di arrivare a un cessate il fuoco. Nella zona di Khan Yunis e Deir Al Balah ieri mattina qualcuno ha mostrato la bandiera di Hamas e ha organizzato una specie di protesta in strada, ma l’iniziativa non ha avuto grande successo. Sono tutti troppo spaventati, deboli e amareggiati, oramai.

Solo nel campo di Shati, nella parte occidentale di Gaza, alcune persone hanno partecipato più numerose a una sorta di commemorazione, perché Haniyeh era nato e cresciuto proprio lì. In molti lo conoscevano da ragazzino e lo hanno seguito nella sua carriera, quando ha scalato i vertici della politica e di Hamas.

Era andato via da Gaza, in esilio, nel 2019 ma in lui hanno sempre creduto tutti a Shati, e proprio in lui, in questi giorni di trattative, confidavano ciecamente. «Haniyeh era un grande leader, ci avrebbe portati in salvo – dicono alcune donne nel campo profughi di Nuseirat – Israele lo ha ammazzato perché non vuole la pace. Netanyahu farà di tutto per prolungare la guerra fin quando non ci avrà sterminati tutti».

Sembra che il lutto, questa volta, sia personale. «Non c’entra tanto Hamas, quanto l’uomo. Haniyeh era rimasto uno del popolo, era rimasto vicino ai bisogni concreti – dicono alcune fonti – e non si era mai montato la testa o infervorato come tanti membri di Hamas che diventano pazzi. Oggi si piange per lui».

Ma soprattutto ci si preoccupa per il prossimo futuro di Gaza. Il timore, infatti, è che questa uccisione possa provocare una escalation del conflitto in tutta la regione. «Saranno soprattutto i cittadini di Gaza a pagare il costo di questo omicidio», dice il giornalista Hassan Isdodi. «Nelle ultime ore Israele ha continuato a bombardare la Striscia e ha ucciso, tra gli altri, due colleghi della stampa».

© Riproduzione riservata