Il governo ha manipolato istituzioni e tribunali per mettere fuori gioco l’opposizione, temendo la fine della sua egemonia oligarchica. Lo sfidante è arrivato al secondo turno a sorpresa. Il presidente Giammattei ha il passaporto italiano e potrebbe rifugiarsi qui
Come abbiamo visto in Ecuador con l’assassinio del candidato dell’opposizione Fernando Villavicencio, ucciso probabilmente dai narcos, anche in centroamerica la democrazia è in pericolo. In tutta la regione lo stato di diritto è minacciato da forme di populismo che sconfinano in tentazioni autoritarie, come sta avvenendo in Nicaragua, El Salvador e Guatemala, dove anche la giustizia viene manipolata per mettere fuori gioco gli oppositori politici, obbligare i dissidenti all’esilio o impedire la trasparenza dei processi elettorali. In particolare in Guatemala il presidente Alejandro Giammattei, che è anche cittadino italiano (ha un nonno italiano), si trova coinvolto in una complessa ed oscura operazione che mira ad interferire nelle elezioni presidenziali in corso.
L’idea è condizionare le diverse istanze giudiziarie del paese (procura generale, Corte suprema, corte costituzionale), per evitare che venga eletto (o al limite che bloccare l’istallazione del mandato in caso di vittoria) il candidato del partito Semilla, Bernardo Arevalo, arrivato contro tutti i pronostici al ballottaggio che si terrà domani.
Un caso ad arte
Arevalo sfida l’altra candidata, Sandra Torres, anch’essa poco amata dall’oligarchia del paese ma considerata più malleabile. Arevalo è un socialdemocratico moderato il che, in un paese che ha adottato l’iperliberismo patrimoniale più sfrenato, significa fare la figura del pericoloso estremista pronto a nazionalizzare ed espropriare. Fa paura il fatto che il candidato possa essere poco ricattabile perché estraneo al sistema di potere economico e politico che ha gestito il paese per decenni in maniera predatoria. Per fermarlo la procura generale ha montato un caso ad arte contro il suo partito, Semilla, basato sulla presunta falsificazione di alcune firme al momento della creazione del partito nel 2018.
L´obiettivo è giungere alla cancellazione della personalità giuridica della forza politica per riuscire ad escludere il candidato dal ballottaggio, anche se questo punto la cosa appare molto difficile. Ciò che è invece possibile è creare un caos politico che ne impedisca l’eventuale insediamento. Va anche ricordato che finora la procura si è rifiutata di rendere pubblici gli atti delle indagini con le presunte prove raccolte. Nel frattempo una decina di persone che hanno fatto parte del consiglio direttivo al momento della formazione di Semilla, minacciate di arresto, sono state costrette ad abbandonare il paese, al pari di ciò è avvenuto negli ultimi 3 anni a più di un centinaio di operatori del settore della giustizia che si erano distinti nella lotta contro la corruzione (come Thelma Aldana o Juan Francisco Sandoval), o giornalisti e difensori dei diritti umani scomodi per il governo. L’attuale intromissione nel processo elettorale è riuscita a mobilitare quasi tutti i settori della società civile guatemalteca che stanno protestando con grandi manifestazioni, ma anche a provocare prese di posizione preoccupate da parte di quasi tutti i governi latinoamericani, dagli Usa, dalla Ue ed dal cosiddetto G13 (il tavolo dei donatori di cui fa parte anche l´Italia).
Anche la conferenza episcopale del Guatemala con un comunicato del 13 luglio scorso ha espresso «l´esigenza di rispettare il risultato delle elezioni presidenziali e di realizzare il ballottaggio il 20 di agosto tra i due candidati più votati». Sulla stessa linea si è dichiarato anche il card. Alvaro Leonel Ramazzini, ricevuto dal segretario generale dell’Organizzazione degli Stati Americani (OSA) Luis Almagro il quale sta tentando ad abbassare la tensione e garantire che le elezioni si svolgano come previsto.
La cittadinanza
Il tradizionale sistema oligarchico guatemalteco si sente minacciato dai cambiamenti e non vuole una vera lotta alla corruzione, né la fine dei privilegi fiscali per interi settori ed grandi imprese, né tantomeno la trasparenza degli appalti pubblici. Fino a qualche anno fa tutto questo era abbastanza garantito dalla presenza nel paese della commissione indipendente contro l´impunità (CICIG) che ha funzionato per più di 10 anni sotto l´ombrello delle Nazioni Unite. La CICIG non solo ha aiutato le procure locali nelle indagini contro i casi di corruzione ma offriva anche uno scudo giuridico e politico con una garanzia di indipendenza.
Dopo la cacciata della CICIG nel 2019, la nuova procuratrice generale, Consuelo Porras, ha iniziato un percorso segnato dalla ritorsione verso tutti coloro che avevano indagato, accusato e fatto condannare operatori politici e grandi imprenditori corrotti. Si è così aperta una pagina nera di casi giudiziari montati ad hoc, con esilio per gli oppositori del sistema. In questa realtà capovolta divenuta cronaca quotidiana, i responsabili della procura guatemalteca sono stati inseriti dal dipartimento di Stato Usa nella cosiddetta ”lista Engel”, quella dei personaggi pubblici centroamericani a cui viene ritirato il visto per sospetto di corruzione o di attività antidemocratica. Allo snodo di questo controverso caso politico-elettorale si trova il presidente Giammattei che, come sostengono alcuni, è pronto a cercare rifugio in Italia in caso di problemi.
Non è il primo caso né sarà l’ultimo. Anche se sembra molto lontana, la crisi del Guatemala coinvolge dunque l’Italia e potrebbe provocare delle ripercussioni a cui è bene prepararsi. Infatti il nostro paese potrebbe essere chiamato a giustificarsi in caso di utilizzo controverso della nostra cittadinanza.
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