- Grazie al sostegno del governo, Eni ha firmato a gennaio un accordo sul gas da 8 miliardi con la Libia, ma il progetto rischia di fallire sul nascere per questioni di validità del contratto e di fattibilità.
- Intanto la guardia costiera ha già ottenuto tre delle cinque motovedette che gli erano state promesse nell’ambito della missione Sibmmil, finanziata con fondi Ue, mentre l’Italia è ancora alla ricerca di fonti energetiche alternative alla Russia.
- Le politiche migratorie e di controllo delle frontiere non stanno funzionando, visto che gli arrivi nel 2023 sono più del doppio dell’anno precedente. La prossima delusione per il governo potrebbe arrivare da Haftar
La guardia costiera libica ha due motovedette in più. La cerimonia di consegna si è svolta presso l’arsenale militare di Messina tra strette di mano e foto dei rappresentanti della commissione Ue, della direzione centrale dell’immigrazione, dell’agenzia industrie difesa, che si è occupata del refitting delle motovedette, e della stessa guardia costiera.
A quest’ultima spetta il compito di usare le imbarcazioni per contrastare i traffici illegali di migranti e controllare le frontiere, due pilastri della missione Sibmmil finanziata dal 2017 dall’Ue con 43 milioni di euro e gestita dal ministero dell’interno italiano. La consegna deriva dal memorandum firmato a gennaio dalla premier Meloni e da Abdel Hamid Dbeibah, leader del governo di unità nazionale libico, per uno scambio motovedette-gas, rivelatosi sfavorevole per l’Italia.
La guardia costiera libica ha già ottenuto tre delle cinque motovedette promesse, l’accordo sul gas da 8 miliardi siglato tra Eni e la National oil corporation (Noc) presenta non pochi problemi. Prima di tutto, il gas non arriverà sul mercato italiano prima del 2026, nonostante l’urgenza di trovare fonti energetiche alternative rispetto alla Russia, altri punti fanno temere il fallimento dell’accordo.
L’intesa è stata criticata dal ministro libico del petrolio, che ha definito non affidabili gli studi di fattibilità del progetto, mentre la Noc - guidata da Farhat Bengdara, uomo fedele al generale Kalifa Haftar - potrebbe non avere abbastanza liquidità per contribuire all’attivazione dei due giacimenti di gas offshore.
Vi è anche una questione politica non certo secondaria e che deriva dalla frammentazione dei centri di potere in Libia, divisi fra Tripolitania a ovest e Cirenaica a est. L’allora capo dal governo della Cirenaica, Fathi Bashagha, aveva messo in discussione la validità dell’accordo siglato dal premier Dbeibah visto che il suo mandato è ufficialmente scaduto da più di un anno, lasciando intendere che in caso di cambiamenti negli equilibri di potere, l’intesa sul gas poteva essere messa in discussione. Le elezioni in Libia per il momento non sono una possibilità, ma l’instabilità politica del paese non fa ben sperare.
L’accordo - definito “storico” da Meloni - potrebbe quindi fallire ancora prima di nascere, mentre la guardia costiera libica è stata ancora una volta equipaggiata con soldi pubblici nonostante le ripetute violazioni dei diritti umani e gli attacchi e i tentativi di sequestro ai danni dei pescherecci italiani. Roma, con il sostegno dell'Ue, continua a rafforzare una guardia costiera discutibile, secondo un approccio di militarizzazione delle frontiere ed esternalizzazione del controllo dei flussi che ha dato pochi risultati. Da gennaio a giugno 2023 sono arrivati in Italia circa 59mila migranti, più del doppio rispetto allo stesso periodo del 2022, mentre l’hotspot di Lampedusa è ancora una volta sovraffollato.
I rapporti con Haftar
La scelta di puntare sulla fortificazione dei confini anziché su politiche di accoglienza non sembra stia ripagando e la prossima delusione per il governo Meloni potrebbe arrivare da Haftar, il generale che controlla militarmente la Cirenaica, area da cui sono partiti almeno 10mila dei migranti arrivati in Italia nei primi quattro mesi dell’anno.
Haftar è stato a Roma a inizio maggio per discutere proprio dei flussi che partono dalle coste orientali e stando al portavoce del generale il clima intorno ai negoziati, di cui si sa ancora poco, sarebbe decisamente favorevole. Con molta probabilità i colloqui si sono concentrati sulla fornitura di mezzi e denaro per bloccare le partenze.
Una prospettiva positiva per il generale, uscito senza soldi dalla fallimentare campagna militare per la conquista di Tripoli e bisognoso di nuove fonti di reddito, oltre che di legittimità internazionale. Peccato che Haftar non controlli totalmente la Cirenaica: l’area del porto di Tobruk, una delle più importanti della zona, ricade sotto l’influenza di una tribù a cui appartiene il presidente della Camera dei rappresentanti libica, Aguila Saleh, e che il generale sta provando a riconquistare con la forza. Ai danni di chi cerca di raggiungere le coste italiane, schiacciato tra i signori della guerra locali che cercano di sedurre il governo italiano e le istituzioni europee. Con risultati alle volte favorevoli.
La politica migratoria del governo Meloni rischia dunque di rivelarsi fallimentare come quella dei suoi predecessori, tutti ugualmente disposti a rafforzare la guardia costiera libica e a trattare con milizie locali o governi di discutibile legittimità, pur di tenere lontano quelle persone che finiscono troppo spesso sul fondo del mare. In cambio di poco o nulla, nonostante i proclami ufficiali.
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