Tra i molti dualismi del Medio Oriente ce n’è uno che non è stato ancora sufficientemente indagato e che è esploso in maniera eclatante con l’ultima crisi: ideologia contro business.
Dove è chiaro che, in questa fase, l’ideologia ha sconfitto il business, demolendo uno dei pilasti del credo liberista per il quale è sempre l’economia che domina la politica. Ad altre latitudini del pianeta la pretesa di primato dell’economia si è rivelata il grimaldello per scardinare lo stato sociale con conseguenze nefaste per i ceti più poveri. Ma nell’area più infiammata del mondo magari l’economia assumesse il comando e prosciugasse quel brodo di cultura in cui prosperano i terrorismi più nefasti, fino all’aberrazione del grumo di Shoah sparso da Hamas su oltre mille civili israeliani indifesi.
Cercare il benessere
Falliti i numerosi piani di pace per il conflitto israelo-palestinese, il ritornello per cui bisognava e bisogna trovare una strada alternativa alla politica ha sempre indicato l’economia come l’elemento supplente. Cercare il benessere della popolazione, soprattutto di quella palestinese che vive in condizioni di indigenza, per impedire che la disperazione sia l’elemento di reclutamento da parte di formazioni fondamentaliste.
Sembrava funzionare, ad esempio, dopo gli accordi di Oslo del 1993. Pare fantascienza ricordarlo ora ma è vero. Ci furono anni (purtroppo pochi) in cui gli israeliani potevano andare al mercato di Gaza a fare shopping. A beneficio delle proprie tasche e di quelle dei commercianti palestinesi. Stagione chiusa dalle fazioni estremiste di entrambi i lati e sepolta dopo l’omicidio di Yitzhak Rabin, il firmatario di quegli accordi, da parte di un estremista di destra, il giovane Yigal Amir (1995).
La seconda Intifada o Intifada dei kamikaze (2000-2005), con le strade e i locali di Israele insanguinati dagli attentatori suicidi ha allontanato da allora qualunque possibilità di mediazione. Eppure ci fu in quei tempi tristi un leader-soldato come Ariel Sharon che ebbe un’intuizione considerata improbabile, data la sua biografia, e volle tenacemente perseguire la possibilità della soluzione “due stati per due popoli”, ordinando il ritiro unilaterale da Gaza di settemila coloni e annunciando il successivo sgombero di altri settantamila ebrei dalla Cisgiordania occupata.
L’ictus che lo colse impedì l’attuazione del piano visionario che morì con lui: era l’unico, per il prestigio raggiunto come militare, in grado di imporlo anche alla parte più riluttante dell’opinione pubblica.
Lo stallo sostanziale nei negoziati è durato fino ai nostri giorni mentre in campo palestinese si indeboliva l’Autorità palestinese retta dal Fatah che fu di Arafat a tutto vantaggio di Hamas.
Gli accordi di Abramo
Negli ultimi anni, e sotto i vari premierati di Benjamin Netanyahu che non per caso è un economista ed è stato anche ministro delle Finanze, l’idea prevalente di Israele è stata quella di trasformare la questione da locale a regionale, sfruttando le divisioni nel campo musulmano tra sciiti e sunniti e puntando, per uscire dall’isolamento, su patti economici e commerciali con i paesi dell’area più sensibili alle sirene del libero mercato e vogliosi di un’accettazione da parte dell’occidente (di cui Israele è un avamposto) dopo i sospetti o le specifiche accuse di legami con il terrorismo.
Da qui gli accordi di Abramo del 2020 con Emirati Arabi Uniti e Bahrein, con tanto di apertura di canali diplomatici, rotte aeree, visite reciproche di ministri e persino di turisti. Era sul punto di essere perfezionato un altro accordo di Abramo, ancora più significativo per il peso del partner, con l’Arabia Saudita, faro del mondo sunnita.
Il principe ereditario Mohammed bin Salman lo aveva annunciato come imminente solo due settimane fa. Accanto alla cooperazione economica prevede lo sblocco della situazione palestinese e finalmente l’approdo a uno stato. Ora quell'accordo rischia di essere la vittima in più dell’orrendo attacco di Hamas compiuto nel nome del proprio statuto che prevede la distruzione dello stato degli ebrei.
L’ideologia contro l'economia, appunto. E contro i palestinesi stessi, ostaggio di una formazione terrorista che nulla contempla se non il proprio credo. Hamas, negli ultimi mesi, aveva trattato tramite l’Egitto la possibilità che migliaia di persone della Striscia di Gaza potessero entrare in Israele per lavorare salvo fare ritorno alla sera. Doveva essere un buon passo per l’avvio di una fase di distensione basato sulla convenienza reciproca. Era solo dissimulazione. L’errore di Israele è stato quello di fidarsi.
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