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Il crollo della diga di Nova Kachovka in Ucraina ha innescato tensioni tra Russia e Ucraina, alimentando il dibattito sulle responsabilità simili all'attacco al gasdotto Nord Stream 2.
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Il Vaticano ha cercato di avviare un dialogo tra le parti coinvolte nel conflitto, con l'arrivo del Cardinale Zuppi a Kiev e l'apertura di un possibile incontro a Mosca.
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La guerra in corso da 16 mesi ha dimostrato che l'acqua può diventare un'arma, minacciando non solo le vite umane ma anche la sicurezza della centrale nucleare di Zaporizhzhia. Il Cremlino cerca di presentare eventuali riconquiste ucraine come una situazione transitoria e continua a costruire una narrativa per legittimare la figura di Putin e la guerra stessa.
Nei giorni scorsi abbiamo assistito a due eventi principali che hanno dominato il dibattito pubblico e politico nei media tradizionali e nei canali social. Da un lato, il crollo della diga di Nova Kachovka costituisce la più grande catastrofe ambientale avvenuta in Ucraina dopo Chernobyl’ e ha, inevitabilmente, avviato una serie di accuse reciproche tra la Russia e l’Ucraina, che sembrano riproporre le medesime (in)certezze degli analisti sul responsabile dell’accaduto, come si era già verificato per l’attacco al gasdotto Nord Stream 2.
Dall’altro, vi è stato un tentativo di alto valore simbolico da parte del Vaticano di avviare un dialogo tra le parti coinvolte con l’arrivo a Kiev del Cardinale Zuppi al seguito del quale vi è stata anche un’apertura del Cremlino ad un possibile incontro a Mosca.
L’acqua è un’arma
La guerra è ormai in atto da quasi 16 mesi, con l’alternanza tra fasi di stallo, dovute principalmente alle condizioni meteorologiche che rendono sempre più difficile operare sul terreno, e un massiccio attacco russo con missili e droni sulla capitale e Odessa, che non scoraggiano l’umore e la forza d’animo della resistenza ucraina.
Il recente dramma ambientale ha dimostrato come in guerra, per riprendere le parole del primo ministro estone, Kaja Kallas, anche l’acqua può diventare un’arma. Non solo per la morte dei civili e dei soldati che si trovano sul posto, bensì può costituire un pericolo per la vicina centrale nucleare di Zaporizhzhia, che utilizza l’acqua della diga per il raffreddamento dei suoi reattori. A chi si chiede, infatti, se il presidente russo intenda utilizzare i missili nucleari per imprimere un cambiamento nel conflitto, basterebbe ricordare che la più grande centrale ucraina in Europa costituisce di per sé una potenziale arma di distruzione di massa, anche incidentalmente.
In realtà, non è detto che quanto è accaduto nei giorni scorsi a Kherson abbia ripercussioni positive o negative per la Russia per il semplice fatto che il Cremlino non considera un’eventuale controffensiva ucraina, capace di riconquistare gran parte dei territori già occupati, come una fatidica sconfitta militare dell’esercito russo. D’altronde è dall’inizio della cosiddetta “operazione speciale militare” che la Russia di Putin commette errori strategici decisamente imbarazzanti se paragonati alle imprese della “gloriosa” Armata rossa.
La narrazione
Tuttavia, quella maggioranza dell’opinione pubblica russa che sostiene la “guerra contro la Nato”, come è sempre stata presentata dalla propaganda russa, è consapevole che la Russia si trovi in una condizione di difficoltà oggettiva, ma con perseveranza continua a credere alla “vittoria” futura della nazione.
In sostanza, il Cremlino potrebbe presentare una parziale riconquista ucraina dei territori annessi alla Russia come una situazione transitoria del conflitto, come del resto ha già fatto in passato, che non inciderebbe più di tanto sul livello di fiducia nei confronti del presidente Putin.
L’informazione mediatica russa e i discorsi del presidente russo hanno sempre sottolineato che questa “operazione” potrebbe durare a lungo, ma ne vale dell’esistenza stessa della cultura e della nazione russa: guerra di logoramento (dell’occidente), guerra preventiva, difensiva ed esistenziale sono i concetti su cui il Cremlino ha costruito la propria narrazione al fine di legittimare e rafforzare la figura del presidente e del paese.
L’avversario
Anche non volendo ricorrere ai risultati dei sondaggi o dei focus group del Levada Center di Mosca, chi ha viaggiato, e interagisce quotidianamente con le diverse generazioni russe, può comprendere come la guerra possa certamente, ad un certo punto, “stancare” anche il popolo russo.
Ma una destabilizzazione del potere putiniano potrebbe avvenire solo con un grave peggioramento della situazione economica dei cittadini (che tarda ad arrivare) e/o con una lotta intestina tra le fazioni. A tal riguardo, è più opportuno osservare non solo le azioni del capo dei mercenari di Wagner, Evgenij Prigožin, e le sue esternazioni contro le autorità militari, ma anche il ruolo sempre più rilevante delle milizie private russe a sostegno della causa ucraina.
Non vi è dubbio che, al momento, la figura di Prigožin (in ascesa anche nei “famigerati sondaggi russi” che lo attestano al 4 per cento della fiducia del campione) sta sempre più acquistando l’attenzione di coloro che psicologicamente potrebbero sostenere chiunque si presenti come un “vincitore”.
Sinora il presidente Putin ha presentato l’annessione del Donbass come una prima vittoria al popolo russo, ma questa situazione, a lungo andare, potrebbe non essere sufficiente e indebolirlo politicamente. Per questo motivo, in attesa di essere rieletto presidente nel marzo 2024, Putin dovrà dimostrare, ancora una volta, di saper gestire ambizioni personali, lotte di potere, ma, soprattutto, garantire la stabilità politica indispensabile per la sua sopravvivenza al Cremlino e per l’esistenza stessa della Russia.
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