Molti hanno giudicato la diffusione del video delle tre donne israeliane ostaggio come un colpo ben assestato dalla propaganda di Hamas. Nel video circolato lunedì si ascolta una donna rivolgersi direttamente al primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu, a nome degli ostaggi portati a Gaza, gridandogli di liberare tutti i prigionieri palestinesi in mano israeliana per ottenere la loro liberazione.

Ore dopo invece è arrivata la notizia che l’unità operativa dello Shin Bet, l’agenzia di intelligence interna israeliana, appoggiata dall’esercito, aveva liberato Ori Megidish, una soldatessa diciannovenne, riportandola a casa da Gaza.

«È un risultato che mostra il nostro impegno a liberare tutti gli ostaggi», ha dichiarato Netanyahu.
«E un’ulteriore prova della nostra capacità di raggiungere gli ostaggi e dei vantaggi della manovra di terra», ha aggiunto il ministro della Difesa, Yoav Gallant.

La stampa internazionale ha dato conto dall’inizio della guerra di vari sforzi diplomatici per raggiungere un qualche accordo con Hamas, principalmente attraverso la mediazione del Qatar.


Nella serata di martedì è arrivata la notizia data in un video diffuso su Telegram: Hamas libererà nei prossimi giorni alcuni ostaggi di nazionalità straniera. Nel video Abu Obeida, un portavoce delle brigate Al Qassam, aggiunge che i mediatori al lavoro sulla liberazione degli ostaggi sarebbero già stati informati e che Hamas non ha nessuna intenzione di tenere stranieri a Gaza.

Non è chiaro, al momento, se quest’annuncio sia il risultato di trattative diplomatiche. Ciò che invece è stato ribadito sin dall’inizio è che l’obiettivo dichiarato da Israele è stato quello di sradicare Hamas da Gaza. Obiettivo reiterato dal premier lunedì, rispedendo al mittente ogni richiesta di cessate il fuoco.

E per quanto la società israeliana, pur essendo ormai in larga parte contrapposta alla leadership di Netanyahu, appoggi la guerra contro Hamas, anche via terra, la preoccupazione crescente delle famiglie degli ostaggi è che il dramma dei propri cari passi in secondo piano rispetto all’obiettivo finale di eliminare Hamas da Gaza o alle preoccupazioni per le sorti dei civili della Striscia.

Gli scambi

Negli ultimi giorni ci sono stati vari episodi negli Stati Uniti di persone che hanno strappato i poster appesi un po’ ovunque, spesso nei pressi di università americane, che ritraevano le foto di ostaggi portati a Gaza. Poster visibili ovunque in Israele. Secondo i media americani alcune persone che li hanno strappati hanno fatto riferimento alla sofferenza dei civili palestinesi sia prima della guerra che ora a Gaza.

In molti hanno fatto presente al governo israeliano nelle ultime settimane che la maniera più efficace di riavere indietro gli ostaggi, il cui numero confermato è salito a 239 e potrebbe salire ancora, fosse quella di trattare uno scambio di prigionieri con Hamas.

In un’intervista a Domani, nei primi giorni di guerra, Yigal Carmon, ex consigliere antiterrorismo dei primi ministri israeliani Yitzhak Shamir and Yitzhak Rabin, ora a capo del think tank Middle East Media Research Institute (Memri), aveva sostenuto con forza che Israele avrebbe dovuto offrire ad Hamas di liberare tutti i palestinesi detenuti nelle carceri israeliani per ottenere il rilascio di quelli portati a Gaza.

In passato Israele non si è tirata indietro e ha acconsentito ad accordi sullo scambio di prigionieri con fazioni armate palestinesi o con hezbollah in Libano.

Nel 2011, il paese ebraico guidato allora da Netanyahu, ha rilasciato un migliaio di detenuti palestinesi per liberare Gilad Shalit, un soldato ebreo tenuto cinque anni prigioniero da Hamas a Gaza.

Al tempo lo scambio aveva suscitato forti polemiche in quanto i detenuti rilasciati erano stati ritenuti responsabili dell’uccisione di circa 600 israeliani.

Volantini e fiaccolate

Successivamente molti di questi detenuti sono stati arrestati di nuovo dalle autorità israeliane. Yahya Sinwar, attuale leader di Hamas a Gaza, è uno dei detenuti liberati in quell’occasione.

Nelle prigioni israeliane ci sarebbero circa 11.000 detenuti palestinesi per varie ragioni. Più di 1,500 sono stati arrestati dall’inizio della guerra nei frequenti raid di polizia ed esercito israeliano a Gerusalemme est e Cisgiordania, secondo dati delle ONG HaMoked e Palestinian Prisoners Club. Tra questi ci sarebbero anche 700 membri di Hamas arrestati in Cisgiordania, secondo le forze armate israeliane.

E nel frattempo le famiglie degli ostaggi fanno di tutto per mantenere alta l’attenzione per il loro dramma, per evitare che si affievolisca, soprattutto a livello internazionale.

Ogni giorno ci sono in tutto il paese fiaccolate e manifestazioni. Ultimamente sono state realizzate anche numerose installazioni per ricordare gli ostaggi. A Gerusalemme, a Netanya, a Tel Aviv, un po’ ovunque in Israele si stanno moltiplicando le manifestazioni e iniziative per tenere viva l’attenzione.

Una di queste è una lunga fila di sedie, ognuna coperta da un poster raffigurante un ostaggio, poste presso la tomba di David Ben Gurion, il padre fondatore di Israele.  

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