In un articolo il Guardian racconta la storia di Verma, una giovane dottoressa indiana che ogni giorno subisce sulla sua pelle il dramma del Covid-19. Carenza di ossigeno e morte sono diventate la quotidianità. Quando finisce il turno torna a casa e aiuta i pazienti che hanno sintomi lievi
«Stavano lì, guardando il paziente che ansimava, incapace di respirare, e sapevano che non gli stavamo dando l’ossigeno perché non ce n’era. Lo sguardo nei loro occhi era di puro terrore. Sapevano che presto poteva arrivare il loro turno», racconta la dottoressa dell’ospedale indiano Ganga Ram, Chahat Verma, al Guardian.
Verma è un medico giovane. Ha 26 anni ed è solo al suo secondo anno di lavoro all’interno dell’ospedale. Non era pronta ad affrontare il Covid-19, dentro la struttura avrebbe dovuto seguire il lavoro di un noto chirurgo plastico, ma poi la pandemia ha stravolto i suoi piani. Tanti suoi colleghi si sono contagiati ed è arrivata a occuparsi della salute di 25-30 persone al giorno.
Secondo Verma la nuova variante, che ha aumentato drasticamente il numero dei contagi e dei decessi, ha una degenerazione repentina. I sintomi sono diversi da quelli dell’anno scorso: «I pazienti giovani sono perfettamente stabili. Improvvisamente i loro livelli di ossigeno crollano», ha raccontato. «È stato molto angosciante. Li ho visti diventare sonnolenti, non reagire, mentre il cuore e il cervello sentivano l'effetto della mancanza di ossigeno. Ogni organo ha bisogno di ossigeno. L’impatto sul corpo quando non riceve ciò di cui ha bisogno è terribile», ha detto Verma che ha visto morire fino a cinque pazienti in un giorno. A nulla sono valsi i tentativi di rianimarli.
La tragedia a cui stanno assistendo i medici ha effetti psicologici devastanti. Lo scorso sabato uno di loro si è tolto la vita dopo aver scritto sui social media che non sopportava più di vedere i pazienti morire in quella maniera.
Nella città indiana dove lavora Verma si registrano più di 25mila nuovi contagi al giorno e le scorte di ossigeno sono finite. Lo scorso 23 aprile sono morte 25 persone nell’ospedale. Se avessero avuto le cure giuste sarebbero ancora vive. La giovane dottoressa racconta che la parte più difficile del suo lavoro è dire ai pazienti che alcuni dei loro famigliari sono morti per via del Covid-19. «Quando sentivano queste parole, perdevano la voglia di vivere. Una donna la cui figlia è morta non voleva più combattere il virus. Una coppia ha perso sia il figlio che la figlia», ha detto. «Un giovane che stava morendo era preoccupato per i suoi genitori e come avrebbero fatto senza di lui. Un altro ha detto dolorosamente che non avrebbe mai dato gli esami di contabilità per i quali si era preparato».
Verma ha il sostegno emotivo dei suoi genitori. Appena finisce il turno alle 18 torna a casa e inizia ad aiutare online i pazienti che hanno sintomi lievi o moderati. «Dato lo stato in cui si trova il mio paese, con persone che non ricevono assistenza medica, ho deciso di iniziare questo servizio quattro giorni fa», ha raccontato. Ha già ricevuto più di duecento telefonate.
Negli ultimi due giorni, la situazione sembra essere migliorata anche grazie agli aiuti internazionali e Verma si sente più ottimista: «Sono giovane, ho energia, ho una famiglia che mi sostiene. Sono pronta ad affrontare qualsiasi cosa».
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