Dietro le belle parole rinascimentali del principe ereditario dell’Arabia Saudita si nasconde un leader ambizioso e pericoloso che non rispetta i diritti umani. Il rapporto dell’intelligence americana che conferma il suo coinvolgimento nell’omicidio del giornalista Khashoggi è solo la punta dell’iceberg
Ambizioso, egocentrico, astuto e determinato sono solo alcune delle caratteristiche con cui viene descritto Mohammed bin Salman, classe 1985, l’erede al trono della famiglia reale saudita. Figlio più grande della seconda moglie di re Salman e sesto in ordine di successione, Mbs è a un passo dalla “corona” grazie a un lungo percorso fatto di trame di potere e anche un po’ di fortuna. Ma chi è effettivamente Mohammed bin Salman? E cosa si conosceva di lui fino a ora?
Il libro del giornalista del New York Times, Ben Hubbard, prova a tracciare un quadro della personalità del giovane principe e a dare una chiave di lettura sulla sua ascesa al potere, tra misteri e tranelli.
Il padre re Salman
A fine anni Novanta nessuno avrebbe mai immaginato che un figlio di Salman bin Abdulaziz potesse diventare il prossimo re dell’Arabia Saudita. Venticinquesimo figlio di trentasei, per Salman padre il trono sembrava un miraggio. Dal carattere forte, integro e ancorato a solidi principi morali, Salman è sempre stato colui che risolveva ogni questione interna alla famiglia. Se un reale era protagonista di qualche scandalo, ci pensava lui a riportarlo sulla “retta via”, anche a costo di usare la sua prigione personale.
Il punto di svolta per Salman arriva quando diviene governatore di Riad. In cinquant’anni, conosce tutto della capitale, che da un importante hub nel deserto si trasforma in una megalopoli con grattacieli di lusso e ville sfarzose. Salman diventa l’anello di congiunzione tra la famiglia reale e le tribù locali. Conosce i loro interessi, la loro genealogia e le faide interne e con grande abilità riesce a governare assicurandosi il rispetto di tutti. Nel frattempo, Salman ha cinque figli dalla prima moglie, sei dalla seconda (tra cui Mbs) e uno da una terza moglie.
L’educazione del piccolo Mohammed bin Salman
Re Salman è conosciuto per essere un padre esigente e severo, che tiene soprattutto all’educazione dei figli. Mohammed bin Salman racconta che gli affidava un libro a settimana da leggere e sul quale poi lo interrogava. La madre, Fahda bint Falah Al Hathleen, invitava sempre intellettuali a casa contro il volere dei figli che non erano propensi ad ascoltarli con piacere.
Nel 1996 un insegnante britannico-algerino, Rachid Sekkai, diventa il professore d’inglese dei figli di Salman, allora ancora governatore di Riad. Il professore ha un ricordo chiaro di Mbs, «era uno a cui piaceva più giocare che studiare» e in effetti non faceva grandi progressi con la lingua inglese. Sekkai ricorda anche che dentro il palazzo Mbs otteneva tutte le attenzioni e ciò «lo faceva sentire come l’uomo al comando».
Il piccolo bin Salman cresce in casa, a differenza degli altri giovani della famiglia reale, e decide di studiare legge in Arabia Saudita alla King Saud University. Se i suoi fratelli amano vivere nelle grandi città europee di Parigi, Madrid, Londra o Ginevra, lui si sente a casa a Riad, un fattore che è stato molto apprezzato fin da subito da suo padre. Tuttavia, cresce con i film di Hollywood, i videogiochi e con una dipendenza dai social network come ogni ragazzo della sua età. Quando i due figli maggiori del re, nati dalla prima moglie, muoiono alla giovane età di 46 e 44 anni per via di alcuni malori improvvisi, Mbs e il padre iniziano a passare molto più tempo insieme, nonostante vivano in case diverse. Il governatore di Riad lo porta con sé in alcuni incontri politici e scopre che è un ragazzo molto ambizioso.
I compagni universitari lo ricordano come uno che voleva sempre stare al centro dell’attenzione con i suoi discorsi, ambiva a diventare un leader. Un ragazzo affascinato dalle figure di Alessandro Magno e della prima ministra inglese Margaret Tatcher.
“The bullet guy”
Crescendo, Mohammed bin Salman si rende conto che i suoi cugini all’intetno della famiglia reale hanno molti più soldi di lui, che il padre è soltanto il governatore della capitale e che per questo ha poche speranze di salire al trono. Dopo la laurea si sposa con una giovane cugina, Sarah bint Mashour, e decide di condurre alcuni investimenti per conto suo, soprattutto nel settore immobiliare. È in questi primi passi nel mondo del business che Mbs scopre la sua vera natura. Un esempio è emblematico. Un giorno voleva comprare il terreno di un imprenditore che non aveva intenzione a cederglielo. A quel punto Mohammed bin Salman decide di fare pressioni sul funzionario locale che gestiva il catasto dell’area affinché segnasse la proprietà a suo nome, ma quest’ultimo si rifiuta di farlo. Pochi giorni dopo, il funzionario riceve una busta con un proiettile.
Da quel momento, Mbs si aggiudica il soprannome di Abu Rasasa, ovvero “il ragazzo proiettile”. Il fatto arriva alle orecchie del re Abdullah che ammonisce Salman padre, dicendogli di tenere a bada il carattere del figlio.
Il trono non è più un miraggio
Nel 2011 una serie di morti nella famiglia reale determinano l’ascesa al trono di Salman. Re Abdullah lo nomina principe erede e gli assegna il ministero della Difesa, ma inizialmente gli proibisce di portare con sé suo figlio.
L’incoronazione di Salman avviene il 23 gennaio del 2015, quando re Abdullah muore per un tumore ai polmoni. All’età di 79 anni, Salman diventa capo del regno dell’Arabia Saudita, l’ultimo figlio della dinastia di re Abdulaziz. Tuttavia, Mbs non è ancora l’erede, prima di lui infatti ci sono Muqrin bin Abdulaziz e suo cugino Mohammed bin Nayef, la figura più temuta.
I primi provvedimenti di Mbs
Mohammed bin Salman viene nominato ministro della Difesa prendendo il posto del padre e fin da subito decide di dare vita, attraverso un decreto reale, a una importante riforma strutturale. Decide di eliminare tutta una serie di organi governativi e di rimpiazzarli con due consigli supremi, uno per lo sviluppo economico e uno per la difesa. In poco tempo è a capo di entrambi, accentrando su di sé enormi poteri, visto che controlla quasi tutta l’economia e la difesa del regno. Mbs si accorge subito che l’oro nero e i petroldollari non avranno vita lunga e che di quel passo l’Arabia Saudita rischia l’insolvenza, ed è in quel momento che inizia a lavorare al suo più ambizioso progetto: Saudi Vision 2030, una serie di riforme economiche e sociali per diversificare l’economia nazionale rendendola meno dipendente dal petrolio e rafforzando il settore privato. Tra i lavori più importanti c’è la nuova megalopoli Neom, dal valore di 500 miliardi di dollari. Una città che si affaccerà sul Mar Rosso. Eccolo, finalmente, il Rinascimento saudita lodato dal senatore Matteo Renzi.
Le trame di potere
Bin Salman sa perfettamente che per diventare il primo in linea di successione bisogna prima superare suo cugino Mohammed bin Nayef, visto che stando a quanto riferito ufficialmente, Muqrin bin Abdulaziz ha chiesto al re Salman di eliminarlo dalla lista di successione. Bin Nayef è considerato un eroe in Arabia Saudita per via della sua tenace lotta contro al Qaeda, un impegno che gli ha fatto guadagnare importanti collaborazioni e contatti con i vertici della Cia e della sicurezza statunitense. Due modi per batterlo: farlo abdicare o ucciderlo.
Il cugino viene convocato nel palazzo reale con una scusa, viene arrestato informalmente e spinto ad abdicare, ma senza successo. A quel punto i funzionari reali chiamano il Consiglio che si occupa di esprimere un parere vincolante sulla scelta degli eredi riferendo che re Salman ha scelto suo figlio come successore. Il parere dell’organo collegiale è positivo: ben 31 membri su 34 si dicono favorevoli a vedere Mohammed bin Salman come prossimo re del paese. Una maggioranza storica. Secondo la corte reale «la decisione presa è una garanzia per il futuro, la stabilità e lo sviluppo della nazione».
Bin Nayef perde tutte le sue cariche e viene così relegato a una sorta di “arresti domiciliari” nel suo palazzo. A quel punto, il progetto politico di bin Salman si è concluso. Non resta che aspettare la morte del padre: poi il trono sarà suo.
La politica estera
Nelle sue mansioni a capo della difesa e dell’economia del paese, Mbs ha cercato di avere un approccio espansivo, avvalendosi anche di tanti consiglieri esteri per i quali è arrivato a spendere cifre esorbitanti, fino a un miliardo di dollari l’anno. Il principe è stato apprezzato dai suoi sudditi soprattutto per la sua attiva politica estera, in un periodo in cui il Medioriente è attraversato da vari conflitti e crisi interne iniziati con la primavera araba del 2011.
I conflitti civili in Libia e Siria, l’accordo raggiunto tra gli Stati Uniti e l’Iran sul nucleare, e la minaccia sciita del presidente iraniano Hassan Rouhani sono tutte sfide con cui il principe ha avuto a che fare in prima persona. Importante la sua alleanza economica con Donald Trump e l’accordo da 110 miliardi per l’acquisto di armi statunitensi. Stringe rapporti con il genero dell’ex presidente degli Stati Uniti, Jared Kushner, e prova in tutti modi a ottenere il consenso dell’amministrazione Trump per una sua ascesa al trono.
Sicuramente sarà ricordato per aver disseminato fame, morte e distruzione con il bombardamento dello Yemen nel marzo del 2015 contro i ribelli sciiti degli Houthi, sostenuti dall’Iran. In quasi sei anni di conflitto il principe è stato accusato di aver commesso crimini umanitari contro la popolazione civile. Secondo l’ultimo rapporto dell’Onu sono circa due milioni i bambini yemeniti che rischiano la malnutrizione.
Altro elemento distintivo della sua politica estera è l’embargo economico imposto insieme agli altri paesi del Golfo nei confronti del Qatar, accusato dai paesi arabi di finanziare il terrorismo. Embargo che è stato superato soltanto lo scorso gennaio, quando si è tornati a una distensione dei rapporti tra i due paesi.
La repressione interna
All’interno del paese le gigantografie del viso di bin Salman sono affisse ovunque. Nei centri commerciali, nei palazzi, negli uffici. Ogni sua iniziativa è accolta con entusiasmo. Tuttavia, il sorriso di Mbs fa paura a tutti, basta anche solo pubblicare un post di dissenso sui social che si rischia il carcere. Per i giornalisti la vita è sempre più complicata. In alcune intercettazioni dei messaggi che il giornalista del Washington Post, Jamal Khashoggi, inviava a una sua collega era evidente la sua preoccupazione. «Voglio scrivere ed essere libero, se rimango qui non è possibile», e poi ancora «sembra il maccartismo, la situazione è fuori controllo, fortunatamente non sono un direttore di un giornale mi vergognerei di fare quello che stanno facendo». L’unica opzione per Khashoggi era lasciare il paese.
Nei suoi articoli continuava a denunciare la deriva autoritaria del paese e a mettere in luce le contraddizioni del giovane principe. Concedere il diritto alla guida per le donne, eliminare la fustigazione e parlare di sviluppo sostenibile sono soltanto uno specchietto per le allodole. L’animo del principe è autoritario e non ammette critiche. Tra i suoi uomini fidati della sicurezza c’è Saud al Qahtani, uno dei partecipanti alla missione per catturare Khashoggi e tra i vertici dello spionaggio saudita. Secondo la Cia, Mbs ha ordinato ad al Qahtani e alla sua organizzazione di «prendere di mira i suoi oppositori all’estero e all’interno del paese, anche con la violenza». Nell'anno in cui Salman padre è diventato re, tre principi che hanno criticato il governo sono stati rapiti all’estero e riportati in patria. Stessa sorte è capitata ad altri membri della famiglia reale. Imprenditori, attivisti e difensori di diritti umani sono tutti finiti nelle carceri del principe, molte volte senza alcuna accusa formale. La repressione dei diritti passa anche per la pena di morte, ancora vigente nel paese. Come denunciato da Amnesty International, nel 2019 si è registrato un record di esecuzioni.
Il famoso Rinascimento di bin Salman passa per la violenza e la morte, come quella che ha colpito il giornalista del Washington Post, Khashoggi. Il suo carattere, la sua repressione è ben nota da tempo ai leader politici internazionali. Ma c’è ancora qualcuno che fatica ad ammettere di avere a che fare con un principe sanguinario.
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