Oggi si elegge il nuovo presidente dell’organizzazione. Un’elezione turbolenta: il candidato degli Emirati è accusato di tortura e un funzionario cinese punta a un posto nel comitato. La candidata ceca: «Impossibile ignorrare le accuse»
- “Benvenuti all’Interpol”, dice il cartello che all’aeroporto di Istanbul accoglie i delegati dell’organizzazione internazionale della polizia criminale.
- In un centro congressi lontano dal centro città e blindato dalla polizia, i rappresentanti dei 190 stati membri dell’organizzazione internazionale sono chiamati a scegliere il sostituto del sudcoreano Kim Jong Yang, presidente uscente, in una disputa tra le più discusse negli ultimi anni.
- Tra uomini, generali e funzionari della sicurezza che corrono per la presidenza, c’è anche una donna: la ceca Šárka Havránková, attuale vicepresidente dell’organizzazione poliziesca.
Il generale degli Emirati Arabi Uniti, Ahmed Naser al Raisi, è stato eletto presidente dell’Interpol con il 68,9 per cento dei voti favorevoli. Lo ha deciso l’Assemblea generale dell’organizzazione di polizia internazionale che si è riunita a Istanbul dal 23 al 25 novembre. Il nuovo presidente rimarrà in carica fino al 2025.
In un centro congressi lontano dal centro città e blindato dalla polizia, i rappresentanti dei 195 stati membri dell’organizzazione internazionale hanno così scelto il sostituto del sudcoreano Kim Jong Yang, presidente uscente, in una disputa tra le più discusse negli ultimi anni.
La tornata elettorale, infatti, è stata criticata prima ancora di arrivare al nome del nuovo capo: le organizzazioni per i diritti umani si sono mobilitate contro la candidatura del generale degli Emirati Arabi Uniti, Ahmed Naser al Raisi, accusato di avere approvato torture contro prigionieri e dissidenti nelle carceri emiratine.
«È un giorno triste per la giustizia internazionale» dice Matthew Hedges, ricercatore britannico imprigionato per più di sei mesi nel 2018 ad Abu Dhabi con l’accusa di spionaggio. Durante la sua detenzione ha subito torture e violenza psicologica. Hedges si trovava nel paese per finire il suo dottorato di ricerca sui sistemi autoritari per l’università inglese di Durham. «Non so come i membri dell’Interpol che hanno votato per Al-Raisi non si sentano imbarazzati per la scelta che hanno fatto», dice dopo l’elezione del generale arabo. «Ho davvero paura di ciò che questo significa per persone come me che sono state abusate per mano degli EAU e costrette a fare false confessioni sotto tortura».
Quella di al Raisi non è stata l’unica candidatura controversa. Hu Binchen, un funzionario della pubblica sicurezza cinese, è in corsa per un posto nel comitato esecutivo dell’Interpol, un organo di 13 rappresentanti che imposta i lavori dell’Assemblea generale. Il timore è che attraverso Binchen, che otterrebbe più poteri esecutivi, la Cina possa perseguitare all’estero i suoi cittadini accusati di reati politici.
Dopo anni di critiche e richieste di riforme, l’assemblea generale dell’Interpol ha approvato il 23 novembre delle modifiche per garantire maggiore trasparenza sui candidati.
La candidata
Tra uomini, generali e funzionari della sicurezza che corrono per la presidenza, c’era anche una donna: la ceca Šárka Havránková, vicepresidente uscente dell’organizzazione poliziesca. Dopo aver ottenuto nel 1998 il diploma dell’accademia di polizia, si è laureata in diritto pubblico internazionale e ha iniziato a lavorare nel dipartimento di sicurezza della Repubblica Ceca a Praga.
Dal 2004 è membro del Consiglio dell’Unione europea e nel 2008 è diventata delegata dell’Europol. È entrata nell’Interpol nel 2018 come componente del comitato europeo ed è diventata vicepresidente un anno più tardi. Una scalata rapida. «Se dovessi vincere, il mio obiettivo primario sarà quello di rafforzare le voci dei paesi membri e le loro esigenze all’interno della governance dell’organizzazione», dice Havránková.
La sua campagna per la presidenza ruotava attorno a tre elementi chiave: «Migliorare la comunicazione tra il comitato esecutivo e i paesi membri; assicurare che le attività e il supporto dell’Interpol corrispondano ai bisogni concreti dei membri; accrescere l’importanza dell’impegno dei membri nella definizione delle priorità». Per questo, secondo la Havránková, è importante accrescere il numero di agenti di polizia distaccati da tutte le regioni e avere una maggiore trasparenza nelle attività del Segretario generale.
La vicepresidente si è espressa anche sulla candidatura del generale al Raisi prima della sua elezione. «È impossibile ignorare le accuse di crimini molto gravi affrontate da uno dei nostri colleghi in diversi paesi. Questa situazione mette l’intera organizzazione sotto un’enorme pressione e porta a una perdita di fiducia nei confronti della nostra istituzione», ha detto.
Havránková ha criticato anche i viaggi istituzionali che il generale emiratino ha effettuato quest’estate in Africa e in Asia alla ricerca di voti per la sua elezione: «Non si può comprare il rispetto, bisogna guadagnarselo attraverso azioni specifiche. Il denaro, la ricchezza o il potere politico del paese non dovrebbero mai influenzare le prestazioni indipendenti della polizia».
Le “red notice”
Secondo avvocati di criminalità internazionale ed esperti di estradizione, uno dei nodi più controversi che il prossimo presidente dell’Interpol deve risolvere è l’utilizzo delle “red notice”, ovvero gli avvisi di arresto internazionali che gli stati membri sottopongono all’organizzazione.
Gli “avvisi rossi” sono richieste inviate dall’Interpol alle forze dell’ordine di tutto il mondo in cui si chiede di localizzare e arrestare provvisoriamente una persona in attesa di estradizione o altri azioni legali.
Ong e associazioni a difesa dei diritti umani sostengono da anni che stati autoritari come Cina, Russia, Emirati Arabi Uniti, Arabia Saudita e Turchia si sono serviti di questo sistema per colpire i dissidenti residenti all’estero.
Non tutti però vogliono rimuovere le “red notice”, tra questi c’è Havránková: «Il sistema degli avvisi rossi è uno dei meccanismi più efficaci e più conosciuti di Interpol. Non spetta a me commentare i singoli casi, né commentare se gli Stati membri ne abusano o meno. Tuttavia, posso assicurarvi che Interpol fa molta attenzione a garantire che l’emissione di tutti gli avvisi siano controllati molto rigorosamente».
La strana coincidenza
Il principe ereditario degli Emirati Arabi Uniti, Mohammed bin Zayed al Nahyan, ha visitato il 24 novembre il presidente turco Erdogan. Un meeting definito storico dato che l’ala dei Fratelli musulmani rappresentata da Erdogan è molto vicina al Qatar, paese finito sotto embargo dal 2017 fino al gennaio del 2021 dagli altri paesi del Golfo Persico (tra cui gli Emirati) e dall’Egitto.
La visita del principe al Nahyan, quindi, può essere interpretata in diversi modi: come una missione diplomatica per mettere pressione ai delegati ed eleggere il suo uomo (al Raisi), oppure era già pronto a celebrare una sua eventuale vittoria.
«Questo lavoro è minato da individui che non capiscono cosa significa essere un vero agente di polizia. Il sistema Interpol deve capire questa vulnerabilità. È tempo di una riforma seria», ha detto Havránková. Riforme che ora passano nelle mani del generale al Raisi ma viste le premesse non promette bene.
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