L’elezione di Donald Trump, al di là del merito squisitamente politico o di quello ideale, sembra essere una pessima notizia per il continente africano sotto molti punti di vista. I primi segnali provengono dalle scelte durante il suo primo mandato.

Come riporta Africa Rivista, nella sua prima presidenza Trump aveva innanzitutto puntato a ridurre significativamente gli investimenti ma anche mostrato preoccupanti atteggiamenti oltraggiosi che al di là del marcato razzismo, celano un chiaro disinteresse. Come quando, nel corso di un incontro con un gruppo bipartisan di senatori alla Casa Bianca, a gennaio del 2018, definì gli stati africani e alcuni centroamericani, «Shithole countries», «paesi di m…».

Un pessimo trascorso 

L’infelice frase si inserisce in una pessima tradizione di presidenti americani incapaci a celare la propria ignoranza oltre che una palese indifferenza verso il continente africano. Tra questi, solo per citarne uno tra i più clamorosi, George W. Bush, che, fresco di elezione alla guida degli Stati Uniti a giugno 2001, parlando di Africa a Göteborg, in Svezia, l’aveva definita «una nazione che soffre di una malattia incredibile», riuscendo nell’impresa di pronunciare vari strafalcioni in una frase di appena nove parole.

Sempre restando sul pregresso trumpiano, va aggiunto che il prossimo presidente Usa non ha mai visitato l’Africa nel suo quadriennio né mai manifestato particolare interesse a porre il continente nell’agenda geopolitica, e che ha favorito drastici tagli riguardanti questioni di sviluppo e sanità pubblica nel continente.

Su questo versante, desta non poche preoccupazioni la scelta che Trump potrebbe operare riguardo l’African Growth and Opportunity Act (Agoa), che dal 2000 consente a 32 dei 54 stati africani di esportare parte dei loro prodotti negli Stati Uniti senza pagare tasse. Nel suo precedente mandato, Trump ha dichiarato che il regime non sarebbe stato rinnovato alla sua scadenza nel 2025 e durante la campagna elettorale del 2024 si è impegnato a implementare una tariffa universale del 10 per cento su tutti i beni prodotti all’estero. Ciò porterebbe inevitabilmente a una riduzione di prodotti africani nel mercato statunitense.

In questo quadro, l’iniziativa Prosper Africa (che assiste le aziende statunitensi che vogliono investire in Africa) lanciata nel 2018 da lui principalmente per contrastare la crescente influenza economica della Cina nel continente, è stata considerata dagli analisti come negletta anche se, vista la prosecuzione del grande impatto cinese in Africa, è possibile che sia rivitalizzata nel secondo mandato.

L’Africa, come riporta la Bbc, riceve la maggior parte degli aiuti dagli Stati Uniti, che hanno dichiarato di aver donato quasi 3,7 miliardi di dollari nel corso di quest’anno finanziario. Come già detto Trump aveva promesso di mettere mano al dossier aiuti all’Africa e usare pesantemente le forbici ed è molto probabile che procederà in questa direzione da ora in poi. Un’evenienza che, come ha dichiarato il Council on Foreign Relations, un noto think tank di Washington, porterebbe allo smantellamento delle «tradizionali politiche statunitensi in materia di salute» (tra le maggiori il programma anti-Aids Pepfar, o quello per i vaccini).

Il cambio di rotta di Biden

A differenza di Cina e Russia, in ogni caso, gli Stati Uniti non sembrano particolarmente attratti dall’Africa. È vero che Joe Biden – che come Trump non ha mai messo piede in Africa nel suo quadriennio – ha mostrato maggiore interesse per l’Africa, ma le sue strategie non hanno portato a una vera svolta. Certo, alcuni progressi significativi nei rapporti e negli sforzi così come alcune iniziative specifiche hanno portato a un cambio di rotta e a una nuova attenzione verso il continente.

In questo senso vanno sicuramente menzionati la storica proposta di Biden, nel corso del summit Usa-Africa del dicembre 2022, di candidare per un seggio permanente l’Unione africana tra i paesi del G20 e il suo impegno per sostenere l’ampliamento del Consiglio di sicurezza delle Nazioni unite, includendovi la rappresentanza dell’Africa. La strategia, come amava ripetere il segretario di Stato Blinken, mirava ufficialmente a «promuovere una governance democratica nel continente» visto che «la storia dimostra che le democrazie forti tendono a essere più stabili e meno inclini ai conflitti».

L’obiettivo più strategico, però, era il contrasto alla rapidissima crescita di influenza di Russia, Cina, Turchia e altri nuovi player, compreso l’Iran, e un rilancio economico-commerciale. Non a caso, durante la presidenza Biden, sono stati siglati un numero significativo di accordi commerciali e il volume degli scambi tra Usa e Africa è cresciuto a 60 miliardi di dollari. Pechino, però, resta irraggiungibile con i suoi 180 miliardi di scambi.

E anche sul piano dell’influenza geopolitica e militare, si registrano clamorosi passi indietro, come la sonora cacciata dello storico contingente di soldai americani dal Niger, uno dei tanti paesi interessati da golpe militari negli ultimi anni, tutti con lo sguardo molto più rivolto a est che a occidente. 

Nuovo corso trumpiano

I risultati ottenuti da Biden rischiano seriamente di venire vanificati dal nuovo corso trumpiano. Se pensiamo ai tentativi di Biden di favorire un maggiore rilievo dell’Africa sulla scena internazionale attraverso seggi negli organismi transnazionali va subito detto che le possibilità, senza il sostegno del nuovo presidente americano che vede, peraltro, con grande diffidenza le istituzioni multilaterali, scemano drasticamente.

Sul piano geopolitico gli analisti, come scrive Al Jazeera, si aspettano che Trump faccia pressione sui paesi africani perché si distanzino da Pechino (più che da Mosca). Ma ciò porterebbe a scelte praticamente impossibili per quei tanti paesi che dipendono pesantemente dalla Cina sia per finanziamenti per le infrastrutture che per scambi commerciali.

Così facendo, però, Trump si esporrebbe a un progressivo e quasi totale sfaldamento dei rapporti degli Usa con un continente che, a detta di tutti, rappresenta il futuro con le sue infinite risorse, le potenzialità finora poco espresse e una popolazione con una media di 19 anni, che potrebbe definitivamente cercare altre partnership e relazioni più profonde con le nazioni dell’Asia e del Medio Oriente oltre che rapporti infracontinentali più stabili.

«Se l’Africa vuole continuare a ricevere elemosine e aiuti dagli Stati Uniti», ha detto Christopher Isike, professore di studi africani e relazioni internazionali presso l’Università di Pretoria, ad Al Jazeera, «allora l’elezione di Trump è catastrofica. Ma se saprà guardare altrove in termini di partner commerciali e alleanze, sarà un bene».

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