- “Bella ciao” in farsi. Non è un mistero che in Iran, sotto il manto della teocrazia, fervano una società civile molto strutturata e un’imponente attività culturale e intellettuale
- Quello della chat anonima è un rito che chi come me usa il grande web internazionale ha imparato a conoscere e rispettare quando si condivide lo stesso spazio digitale con un coetaneo che vive sotto dittatura
- Questo articolo si trova sull’ultimo numero di POLITICA – il mensile a cura di Marco Damilano. Per leggerlo abbonati o compra una copia in edicola.
“Bella ciao” in farsi. Una lingua prigioniera di un regime totalitario, ma forse sarebbe più corretto dire nascosta. Non è un mistero che in Iran, sotto il manto della teocrazia, fervano una società civile molto strutturata e diversificata e un’imponente attività culturale e intellettuale, anche clandestinamente.
Nelle chat anonime
L’Iran produce energie che con il passare degli anni il regime fa sempre più fatica a convogliare, anche perché ormai, soprattutto fra i giovani, il legame con il criterio della guida suprema si è fatto flebile. I giovani iraniani, in un certo senso, si muovono entro «una stanza tutta per sé», resa oggi più ricca dall’accesso al web.
È così che ho sfiorato questo paese abbacinante, entrando in contatto con ragazzi anche più piccoli di me che imparavano ad aggirare i veti della rivoluzione. Quello della chat anonima, insieme delicata e guardinga, è un rito che chi come me ha cominciato nella tarda infanzia a usare il grande web internazionale ha imparato a conoscere e rispettare quando si condivide lo stesso spazio digitale con un coetaneo che vive sotto dittatura, di solito grazie a una passione in comune.
Si entra in un non-luogo sacro, dal quale si intuisce la cameretta di un’adolescente appassionata di disegno, gli spartiti di un giovane musicista, gli strumenti di un pittore, il giardino di un allevatore di cani.
Violenza e utopia
L’Iran, come altri paesi asiatici, non è semplicemente un paese illiberale. È un paese in cui è stata invocata un’utopia, tragicamente disattesa dalla violenza che l’ha sostituita. Nietzsche nella Volontà di potenza descriveva «l’ideale» come «un soffio di veleno sulla realtà, la grande seduzione che porta al nulla», parole che sembrano anticipare lo scarto fra ideologia e realtà che ha prodotto il disastro del totalitarismo, e delineava uno sfiancamento simile a quello che oggi nel depauperamento politico complessivo si percepisce anche nelle democrazie.
Nell’occidente, secondo me, il problema più che nell’ideale è però nelle promesse disattese, nelle quali in molti abbiamo creduto. Resta che nello spazio di questa tensione, che sia un’utopia o una promessa, c’è terra molto fertile e magmatica.
Un humus che i regimi totalitari sfruttano per mobilitare completamente la società come fosse un organismo compatto, ma lo stillicidio non può durare per sempre, perché l’umanità è plurale, fra le nebbie dell’oppressione l’individuo elabora anarchia nel senso puramente etimologico del termine: un’istituzione interiore che non risponde all’autorità liberticida. L’anarchia etimologica viene un attimo prima delle ideologie, coincide con il movimento intimo che eludendo la cortina soffocante della tirannìa produce un individuo libero e consapevole di esserlo.
Resistenza, non rivoluzione
Ma ciò non è ancora sufficiente per parlare di antifascismo, che richiede un’elaborazione matura della libertà stessa, responsabilità e capacità di includere l’altro senza fare violenza a nessuno e rispettando i limiti di tutti. Solo a questo punto si hanno le basi di una società fondata nel principio antifascista, in cui si alternino molteplici visioni e movimenti senza che nessuno cerchi di schiacciare l’altro.
Forse a modo suo anche l’antifascismo ha qualcosa di utopico, ma è un’utopia atipica, perché non ha nulla di idealistico, è un principio umano, che non chiede rivoluzioni, se mai resistenza. È utopia, è promessa, ma soprattutto è la realtà di chi lotta per spezzare le proprie catene. “Bella ciao” e l’antifascismo sorgono nello stesso momento, l’una non è la bandiera dell’altro, bensì il suo segno.
Internet ha portato a una mobilitazione che corre in una direzione mai vista prima, dal pubblico all’intimo e di nuovo dall’intimo al pubblico, fino a proiettare la persona in una dimensione pervasiva di passione politica. Accomuna tutti i popoli in grado di connettersi alla rete, accelera i fermenti già in atto fra le persone, rafforza il desiderio di esprimersi liberamente.
Un fenomeno nuovo
Siamo di fronte a un fenomeno globale, complesso, che include “Bella ciao” in farsi, ma non solo: è un intero nuovo modo di sentire, pensare, informarsi, agire politicamente, trasversale rispetto ai confini geografici, radicato nel principio della libera espressione e dell’autodeterminazione come fondamenti irrinunciabili dell'umano, per i quali vale la pena di essere perseguitati, di morire.
E non possiamo limitarci a pensare ingenuamente che i giovani iraniani chiedano un mondo “come il nostro”, tale e quale, assorbirli con occhi occidentalmente compassionevoli per poi dimenticarne la testimonianza insieme al resto del notiziario.
Dobbiamo rispettare le differenze, abbracciare insieme la libertà. “Bella ciao” nasce proprio per questo. Il giovane popolo globale ha scelto il proprio inno con saggezza.
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