Mentre Al Jolani prova a rassicurare la comunità internazionale sul futuro dei curdi in Siria, il paese liberato dal regime Bashar al Assad rimane al centro delle contese dei vari attori mediorientali. Nella giornata di ieri il governo israeliano ha approvato il piano del primo ministro Benjamin Netanyahu di espandere gli insediamenti sulle alture di Golan: l’obiettivo è quello di raddoppiare la presenza di cittadini israeliani negli insediamenti.

Ma lo stato ebraico è sempre più isolato a livello internazionale: ieri è stata annunciata la chiusura dell’ambasciata israeliana a Dublino, dopo che l’Irlanda ha detto che che si sarebbe unita alla causa del Sudafrica contro Israele alla Corte internazionale di giustizia. Decisione che il premier irlandese, Simon Harris ha definito «davvero deplorevole». 

Il nodo dei curdi e di Teheran

Il leader jihadista siriano Ahmad Sharaa (noto come Abu Muhammad al-Jolani) ha parlato ieri del destino dei curdi siriani, affermando che essi faranno parte a pieno titolo dello stato. «I curdi fanno parte della patria e, come noi, sono stati oppressi dal precedente regime. Con la caduta del regime, questa oppressione sarà eliminata. Tutti riceveranno i loro diritti secondo la legge», ha detto Sharaa, come riporta il canale israeliano Abu Ali Express.

In realtà il premier turco Recep Tayyp Erdogan sta rivendicando l’intera Siria come provincia turca. Ankara probabilmente vorrebbe agire al più presto contro i curdi siriani dell’YPG non appena il presidente eletto Donald Trump avrà ritirato i marines dall’est della Siria. Erdogan a quel punto agirà contro i curdi siriani con l’assenso tacito di al Jolani così da mettere quel 40 per cento di territorio nazionale sotto il controllo di Damasco ed impedire la costituzione di uno stato curdo. «La Turchia è pronta a fornire aiuti militari alle nuove autorità siriane», ha detto il ministro della Difesa di Ankara, Yasar Guler. 

Sulla questione siriana è intervenuto anche il comandante delle Guardie rivoluzionarie iraniane, Hossein Salami, che ha minacciato lo stato ebraico: «L’occupazione del territorio siriano da parte di Israele è insopportabile e il regime pagherà un prezzo pesante e sarà sepolto nelle terre siriane per questa aggressione, ma per raggiungere questo obiettivo abbiamo bisogno di un po’ di tempo». Finora l’Iran ha provveduto a rifornire di petrolio la Siria a costi irrisori. Una petroliera iraniana da 750mila barili era nel Canale di Suez domenica scorsa diretta in Siria ma ha fatto dietrofront. Finora a Damasco stanno andando avanti con le scorte iraniane ma tra breve qualcuno dovrà intervenire per fornire greggio a prezzi politici altrimenti sarà crisi energetica.

Il ruolo di Israele 

Il direttore dell’agenzia di sicurezza israeliana Shin Bet e alti ufficiali delle forze di difesa israeliane (Idf) si sono incontrati, secondo Axios, venerdì con il direttore dei servizi segreti generali giordani, Ahmad Husni, e alti comandanti militari giordani, per discutere della situazione in Siria. Inoltre il segretario di Stato Antony Blinken ha affermato che gli Stati Uniti sono stati in contatto diretto con il gruppo di opposizione islamico sunnita Hts, che ha guidato la rivoluzione che ha rovesciato il regime di Bashar al Assad in Siria. Questa è la prima volta che gli Stati Uniti confermano pubblicamente un contatto diretto con Hts, che precedentemente era stato designato come organizzazione terroristica.

Di Siria, ma soprattutto dei tentativi di raggiungere un accordo sul rilascio degli ostaggi ancora detenuti a Gaza avrebbe poi discusso ieri Il primo ministro Benjamin Netanyahu con il presidente eletto Donald Trump. Secondo i media il premier israeliano e Trump si sarebbero sentiti ieri al telefono, e avrebbero parlato dei progressi nei colloqui per un accordo per liberare gli ostaggi detenuti a Gaza e della situazione in Siria. Trump avrebbe espresso la volontà di un cessate il fuoco e di un accordo per il rilascio degli ostaggi prima di entrare in carica. Nella Striscia intanto la situazione umanitaria continua a essere tragica: sfiora i 45mila morti il bilancio dei palestinesi uccisi nella Striscia dal 7 ottobre 2023. Secondo l’ultimo bollettino del ministero della Salute di Gaza, gestito da Hamas, in 24 ore si sono contati 46 morti e 135 feriti, che portano il bilancio complessivo a 44.976 morti e 106.759 feriti.

© Riproduzione riservata