Quando a due settimane dal voto di martedì 1 novembre Benjamin Netanyahu si è ritrovato alla stessa cerimonia pubblica di Itamar Ben Gvir, il suo alleato oltranzista di destra divenuto rivelazione della campagna, l’ex primo ministro e leader dell’opposizione si è rifiutato di salire sul palco prima che l’alleato fosse sceso e si fosse fatto da parte. Per “Bibi” e la sua squadra di consiglieri una foto con il leader di estrema destra sarebbe stata troppo imbarazzante, soprattutto sul piano internazionale.

Eppure è proprio lui l’uomo su cui Netanyahu punta per tornare al potere dopo il cosiddetto “governo del cambiamento” che, nell’estate del 2021, lo ha deposto mettendo fine ai suoi 12 anni e mezzo consecutivi da premier. Il voto è il quinto in meno di quattro anni, una frequenza a dir poco anomala anche per gli standard di Israele. E dovuta proprio alla polarizzazione attorno alla figura di Netanyahu, divisivo nelle stesse fila della destra.

Oltranzisti

Ben Gvir, 46 anni, agitatore e capopopolo dei più aggressivi fra coloni e suprematisti ebrei, fino a non molto tempo fa esponeva nel suo ufficio un ritratto di Baruch Goldstein. Goldstein, il più famoso dei terroristi ebrei israeliani della storia dello stato, nel 1994 aprì il fuoco indiscriminatamente sui civili palestinesi in preghiera alla Tomba dei Patriarchi di Hebron, uccidendone 29. Lo scorso anno sempre Ben Gvir ha lamentato come David Ben Gurion, il fondatore dello stato, non avesse “finito il lavoro”, espellendo tutti gli arabi nel 1948.

Simili le posizioni di Bezalel Smotrich, leader della lista “Sionismo religioso” a cui appartiene Ben Gvir. Secondo i sondaggi gli oltranzisti si preparerebbero a raddoppiare il proprio numero di seggi alla Knesset, da 7 a 14 “mandati” come vengono definiti in Israele. Da terzo partito, dopo il Likud di “Bibi” (circa 30 seggi secondo i sondaggi) e “Yesh Atid” dell’attuale primo ministro Yair Lapid (circa 14), “Sionismo religioso” diventerebbe così un pilastro di una possibile nuova coalizione guidata da Netanyahu. Che ora, rimangiandosi vecchie dichiarazioni, promette a Ben Gvir la guida di un ministero.

In cerca dell’immunità

Infatti, malgrado le rilevazioni assegnino 72 seggi a partiti ideologicamente di destra, dunque un numero più che sufficiente a garantire una maggioranza di 61 deputati su 120, questi comprendono diverse formazioni come “Israele è casa nostra” di Avigdor Lieberman e “Unità nazionale” di Gideon Saar i cui leader si rifiutano di allearsi con Netanyahu, citando la sua inaffidabilità politica e i suoi processi per corruzione. Invece Ben Gvir e i suoi promettono addirittura leggi che garantiscano un’immunità parziale al premier in carica, con valore retroattivo e dunque il potenziale di trarre in salvo dai processi Bibi Netanyahu. Solo i restanti 48 seggi andrebbero alla coalizione di centro e di sinistra.

Da qui il matrimonio combinato fra Netanyahu e gli hooligan della destra, che non si formalizzano di fronte alle sue traversie legali e hanno bisogno del suo appoggio per sdoganarsi. Un’unione che è già costata al leader dell’opposizione i rimbrotti della Casa Bianca, tramite il Segretario di Stato Antony Blinken, e perfino degli Emirati Arabi Uniti, con cui due anni fa Netanyahu aveva firmato la normalizzazione dei rapporti bilaterali. Non ha aiutato il fatto che Ben Gvir, nelle ultime settimane, abbia fatto sfoggio della sua pistola privata per minacciare cittadini arabi. Prima durante un litigio per un parcheggio a Tel Aviv, e poi durante una visita al quartiere conteso di Sheikh Jarrah a Gerusalemme est.

La minoranza araba

La coesistenza è forzata e strumentale anche per gli oltranzisti: Smotrich, teorico dell’imposizione della legge religiosa in Israele, ha definito Netanyahu un «bugiardo figlio di un bugiardo» in una registrazione diffusa dai media locali la scorsa settimana. Faceva riferimento alle sue recenti dichiarazioni di Bibi riguardo la fase politica prima della formazione del governo del cambiamento la scorsa estate: Netanyahu ha detto di non aver mai cercato il sostegno di Mansour Abbas, leader arabo ma aperto ad alleanze con partiti classici israeliani, per poter formare una coalizione e rimanere premier all’indomani dell’ultima tornata elettorale.

Fu invece Smotrich a minacciarlo che, se avesse incluso Abbas nelle trattative, avrebbe perso gli alleati della destra estrema.

Ora Netanyahu, in cerca di voti di destra, nega di aver avuto qualsiasi contatto con Abbas, che alla fine si è unito al governo del cambiamento, liquidandolo come «sostenitore dei terroristi». Proprio dall’elettorato arabo potrebbero arrivare indicazioni importanti quanto all’esito dell’ennesimo tornata elettorale – prime proiezioni martedì sera alle 22 ora israeliana (le 21 in Italia). Ritorno di Bibi? Ennesimo stallo e nuove elezioni? Coalizione alternativa estemporanea senza Netanyahu? È infatti decisivo vedere se le tre formazioni che fanno riferimento alla minoranza araba supereranno la soglia di sbarramento fissata a 3,25 per cento dei voti, assicurandosi il numero minimo (ma decisivo rispetto alle aritmetiche di coalizione) di 4 seggi ciascuno alla Knesset.

Oltre ad Abbas della Lista Araba unita c’è l’accoppiata dell’intellettuale Ayman Odeh e il suo alleato Ahmed Tibi, un medico molto popolare, che difficilmente si unirebbe a un governo dei partititi anti-Netanyahu ma è comunque aperta al dialogo con elettorato e partiti ebraici. E infine Balad, partito nazionalista che esclude qualsiasi cooperazione politica con formazioni mainstream israeliane.

L’apatia politica degli arabi-israeliani, che rappresentano il 20 per cento circa della popolazione, ha spesso portato a tassi di affluenza alle urne estremamente bassi. Che in questo caso potrebbero essere la carta vincente per un ritorno al potere di Netanyahu.

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