L’inviato Usa Amos Hochstein, in Israele per evitare una escalation con il Libano, ha avvertito i funzionari libanesi che se Hezbollah non mette fine agli attacchi quotidiani potrebbe ritrovarsi come obiettivo di un’operazione israeliana limitata, appoggiata dagli Usa. Lo ha riferito l’emittente pubblica Kan. Un segnale importante che testimonia come stia salendo la tensione tra i due paesi. Hochstein ha detto ai funzionari che è necessaria una soluzione diplomatica per respingere il gruppo terroristico sostenuto dall’Iran dal confine.

Intanto, stretto tra il conflitto da otto mesi contro Hamas a Gaza, la tensione crescente al nord con Hezbollah e i contrasti interni alla coalizione di estrema destra, mentre nel paese si moltiplicano le proteste popolari di piazza, il premier israeliano Benjamin Netanyahu ha criticato i suoi alleati, esortandoli a moderare i toni e a smetterla con le «inutili beghe politiche».

«Siamo in guerra su diversi fronti e dobbiamo affrontare grandi sfide e decisioni difficili. Chiedo che tutti i partner della coalizione si diano una calmata e siano all’altezza della situazione», ha affermato in un videomessaggio. «Questo non è il momento della politica meschina...Dobbiamo tutti concentrarci sui compiti che abbiamo davanti», ha proseguito, esortando i partiti di governo a «mettere da parte qualsiasi altra considerazione e interesse» e a «restare uniti».

Di fronti aperti il capo di governo ne ha parecchi, a cominciare da quello con i militari che hanno deciso una tregua quotidiana delle operazioni militari per consentire l’arrivo degli aiuti, mossa che ha suscitato le proteste del premier che ha lamentato di non essere stato avvisato. Ma c’è di più. Il portavoce delle forze armate, Daniel Hagari, ha affermato pubblicamente che Hamas non si può distruggere – «l’idea è come gettare sabbia negli occhi della gente» – sconfessando la linea dura del governo ribadita più e più volte dallo stesso Netanyahu per giustificare il mancato accordo finora con il gruppo palestinese che salvi gli ostaggi nella Striscia.

Sempre meno quelli in vita, stando alle indiscrezioni del Wall Street Journal sarebbero ormai solo 50. La stima sarebbe stata riferita al Wall Street Journal da mediatori dei negoziati. Questa stima, che si basa in parte anche su dati dell’intelligence israeliana, ritiene che 66 prigionieri nella Striscia potrebbero essere morti, ossia 25 in più di quanto Israele ha valutato pubblicamente.

La destra estrema

Rapporti complessi anche con l’estrema destra guidata dai ministri Bezalel Smotrich e Itamar Ben-Gvir: il leader di Otzma Yehudit mercoledì è stato accusato dal Likud, il partito di Bibi, di aver divulgato «segreti di Stato», dopo che è circolata la notizia secondo la quale Netanyahu si sarebbe offerto di condividere dei briefing sulla sicurezza (Ben-Gvir da tempo chiede maggiore potere sullo sforzo bellico e le pressioni sono aumentate dopo l’uscita del centrista Benny Gantz dal governo) in cambio del suo sostegno al controverso progetto di legge sulla nomina dei rabbini municipali.

Una normativa, richiesta dallo Shas, che all’ultimo il premier ha però ritirato facendo irritare le formazioni politiche degli ultraortodossi. Ad alimentare lo scontro tra Haredi e Likud ha contribuito mercoledì il ministro dell’Economia Nir Barkat annunciando che non sosterrà un altro controverso disegno di legge che riguarda l’esenzione dei giovani ultraortodossi dalla leva obbligatoria.

Rapporti tesi anche con l’alleato americano: la Casa Bianca ha confermato che venerdì il consigliere per la Sicurezza nazionale Usa, Jake Sullivan, incontrerà il suo omologo israeliano Tzachi Hanegbi e il ministro degli Affari strategici Ron Dermer. Il faccia a faccia è un tentativo di far calare la tensione dopo il picco dei giorni scorsi che aveva fatto annullare un incontro. A Washington non hanno gradito il videomessaggio diffuso dal premier Netanyahu nel quale quest’ultimo ha accusato l’amministrazione Biden di bloccare le spedizioni di armi, usando toni molto aspri. Gli Usa hanno risposto annullando un incontro di alto livello sul nucleare dell’Iran, mentre la delegazione israeliana era già in volo per Washington.

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