- Riprendono gli attacchi jihadisti contro la popolazione civile nel Sahel: oltre 200 uccisi in Niger in una settimana, quasi 60 in Mali. Soltanto il Burkina Faso da alcuni mesi pare essere risparmiato dalla violenza.
- In aggiunta agli scontri con gli eserciti, nella stessa zona ci sono stati numerosi e gravi incidenti tra jihadisti del Isgs e i concorrenti del Gruppo di sostegno all’islam e ai musulmani (Gsim).
- La sfida è particolarmente dura per il nuovo presidente nigerino appena eletto, Mohamed Bazoum. Bazoum è stato tra i pochi uomini politici africani a rendersi conto in anticipo nel 2011 di cosa poteva avvenire se la guerra di Libia fosse davvero scoppiata.
Riprendono gli attacchi jihadisti contro la popolazione civile nel Sahel: oltre 200 uccisi in Niger in una settimana, quasi 60 in Mali. La sfida è particolarmente dura per il nuovo presidente nigerino appena eletto a Niamey, Mohamed Bazoum: sembra che i gruppi armati stiano rivolgendo la loro attenzione al suo paese, fino a ora relativamente risparmiato dagli ultimi combattimenti. La zona colpita è quella frontaliera, quasi che i combattenti stiano cercando di penetrare verso la capitale, dopo aver messo sotto scacco Bamako. Soltanto il Burkina Faso da alcuni mesi pare essere risparmiato dalla violenza, anche se nessuno è realmente in grado di fare previsioni per il futuro.
L’ultimo attacco
Nel pomeriggio del 21 marzo sono state prese di mira varie località della regione di Tillaberi, zona rurale e semidesertica costellata da villaggi di tuareg. Nell’ultimo attacco sono morte 137 persone, tutte civili e tutte tuareg. Il governo ha decretato un lutto nazionale di tre giorni. Gli assalitori sono giunti a bordo di motociclette (in pieno stile Boko Haram) e dopo il massacro hanno anche portato via il bestiame. Tutta la regione di Tillaberi è sottoposta da tempo ad attacchi sanguinosi. Assieme a quella di Tahoua poco più a est, arriva a toccare la frontiera con il Mali.
Gli esperti di Sahel suppongono che, essendo vicini al cosiddetto territorio delle “tre frontiere” (Niger, Mali e Burkina Faso), gli autori dei recenti massacri siano i jihadisti dello Stato islamico del grande Sahara (Isgs). È dal 15 marzo che assalti di vario genere si susseguono con furti di mandrie, veicoli e scorte alimentari. Sempre lo stesso giorno un ulteriore attacco, questa volta in Mali, ha ucciso 33 soldati di quel paese.
Già il 2 gennaio scorso, tra i due turni dell’elezione presidenziale, nella stessa regione erano state uccise circa 100 persone in diversi villaggi: una specie di politica della terra bruciata in un’area già fortemente contesa. Non si ricordano attacchi così ampi da quando, un anno fa nel gennaio 2020, almeno 89 soldati nigerini erano periti nell’attacco al campo militare di Chinegodar. Nel dicembre 2019 le vittime militari erano state 71 a Inates, un’altra località non lontana. Entrambe le azioni erano state allora rivendicate dallo Stato islamico mentre si attendono ancora dichiarazioni su quelle più recenti.
In aggiunta agli scontri con gli eserciti, nella stessa zona ci sono stati numerosi e gravi incidenti tra jihadisti del Isgs e i concorrenti del Gruppo di sostegno all’islam e ai musulmani (Gsim), diretto dal tuareg Iyad Ghali. Tali combattimenti sono stati costosi in vite umane per l’Isgs che si era ritirato più a sud. Forse gli attacchi di queste settimane segnano un nuovo rovesciamento di fronte, con uno Stato islamico rafforzato e di nuovo all’assalto.
A differenza di ciò che si vocifera in Mali su presunte trattative, in Niger il neopresidente Mohamed Bazoum ha confermato più volte che lotta antiterrorista rimane una delle sue assolute priorità. Una forza di circa 1.200 militari ciadiani è stata inviata nella regione delle “tre frontiere” per dare man forte ai più deboli eserciti di Niger, Mali e Burkina. Si tratta di truppe ritenute agguerrite e più adatte alla guerra nel deserto, che hanno già dato buona prova di sé durante la prima offensiva anti-jihadista del 2012-2013, quando furono schierate assieme all’esercito francese nel quadro dell’operazione Serval.
Qualche osservatore sostiene che le stragi siano un messaggio inviato al neoleader nigerino, che a differenza dei suoi predecessori è un arabo di discendenza libica. Mohamed Bazoum è stato per un tempo legato al generale libico Khalifa Haftar, l’uomo forte di Bengasi, uno dei peggior nemici del jihad saheliano. Il neopresidente è stato tra i pochi uomini politici africani a rendersi conto in anticipo nel 2011 di cosa poteva avvenire se la guerra di Libia fosse davvero scoppiata. A quell’epoca era ministro degli Esteri del suo paese e venne con urgenza a Roma a riferirne al suo omologo italiano Franco Frattini, sperando di bloccare il conflitto. Come sappiamo l’Italia non riuscì a fermare l’iniziativa militare francese ma chi assistette all’incontro tra i due ministri ricorda l’intuito politico di Bazoum, il quale descrisse a Frattini fin nel dettaglio ciò che sarebbe in seguito realmente accaduto.
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