Un discorso breve quello di Joe Biden, di poco più di dieci minuti, per confermare quanto detto poco più di quattro anni fa durante la campagna per le primarie presidenziali mentre il Covid si stava diffondendo: un ponte tra le «generazioni», per lasciare a voci più «fresche» e «anche più giovani».

L’inquilino della Casa Bianca ha deciso di lasciare non in modo rancoroso e accusatorio, come ci si sarebbe aspettato fino a qualche giorno fa, né rivelando verità non dette su una malattia che lo avrebbe colpito. Lascia andando oltre la sua «personale ambizione», rinunciando a «un secondo mandato» che la sua visione per l’America avrebbe «meritato». Tutto questo però deve fare spazio per la «salvezza della democrazia» e per «l’unità del partito», per cui quindi è arrivato il momento di «passare la torcia».

Non c’è posto nemmeno per Donald Trump, il suo avversario principale di questi quattro anni, in questa sobria prolusione dove purtroppo non sono stati evitati alcuni scivoloni verbali e borbottii simili a quelli del famigerato dibattito del 27 giugno, se non in forma di lotta di idee.

Il discorso

Biden ha iniziato il discorso indicando i ritratti di alcuni grandi presidenti ritratti nello Studio Ovale, come George Washington che ha affermato che «i presidenti non sono re» e Thomas Jefferson che «scritto le parole immortali che guidano questa nazione» riferendosi alla Dichiarazione d’Indipendenza. Cita Benjamin Franklin, il presidente, a proposito della fondazione degli Stati Uniti, con la frase riguardante la forma di governo scelta dalla nuova nazione: «Una repubblica, se voi riuscirete a mantenerla». Ed è quella l’idea forte dietro questo discorso dove l’anziano statista abbandona la campagna elettorale senza però lasciare l’incarico dal quale «continuerà a lottare per i vostri diritti civili, la libertà di voto e la libertà di scelta», senza dimenticare l’economia e lo sforzo per alleggerire il bilancio delle famiglie americane. Ed ecco ancora rimarcare la differenza con l’avversario, evocato affermando che «qui in America non governano re e dittatori, ma siete voi, il popolo” che “dovrete decidere a novembre». E poi l’elogio per «la nostra grande vicepresidente» Kamala Harris, che è «tosta, capace» e sarà anche in grado non solo di reggere il vessillo dei democratici. Ad ogni modo ora, lo stendardo è stato passato.

Il saluto di Joe Biden alla campagna elettorale non somiglia lontanamente ai 40 minuti di discorso di Lyndon Johnson, con il quale però c’è una grossa similitudine da tenere presente: entrambi i presidenti avevano raggiunto grandi risultati in politica interna mentre erano stati fiaccati nei consensi dalla gestione di un conflitto all’estero: la guerra del Vietnam per Johnson, quella di Gaza per Biden, dove pure non sono coinvolte le forze armate americane, ma dove l’attuale presidente ha speso molto del suo credito nei confronti dell’ala progressista difendendo nei primi mesi la condotta del premier israeliano Benjamin Netanyahu, che ieri ha tenuto un altro divisivo discorso di fronte a un Congresso dov’è stato accolto per la quarta volta in modo non eccessivamente caloroso nemmeno da parte repubblicana.

Nonostante i bisticci verbali e la voce flebile in alcuni punti, è stata chiara la differenza di toni rispetto agli ultimi discorsi di Trump dove pure il tycoon avrebbe potuto scegliere un tono più elevato dopo l’attentato subito il 13 luglio in Pennsylvania. Invece, ci sono i soliti attacchi ai democratici, le solite bufale su migranti e voto rubato. Soprattutto però c’è una differenza che al momento ha ancora lasciato spiazzati i repubblicani: Trump non avrebbe mai lasciato la carica in modo spontaneo e anche per questo, nonostante la decisione del ritiro fosse nell’aria da qualche giorno, non c’è ancora una linea precisa contro Kamala Harris che mostri l’efficacia degli attacchi alla senilità di Biden.

Veneranda età che però, dato il tono misurato e senza rancore del suo ultimo discorso, si è nuovamente trasformata in un asset da spendere per evidenziare l’immaturità dell’avversario dei democratici, che pure ha solo tre anni e mezzo di meno del presidente uscente

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