- A meno di due settimane dal voto del 3 novembre lo sfidante del presidente Trump, Joe Biden, è avanti nei sondaggi sia a livello nazionale che negli stati in bilico.
- Ma chi è veramente Biden? È solo l’anti Trump o piace a prescindere dalla’impopolarità del suo avversario?
- Joe è considerato “a regular guy” una persona normale e forse è proprio questo che il paese vuole oggi, un ritorno alla normalità sia nella vita privata che in politica.
A meno di due settimane dal voto del 3 novembre il presidente Donald Trump sembra essere in grande difficoltà. Lo sfidante, Joe Biden, è avanti nei sondaggi sia a livello nazionale che negli stati in bilico e questo malgrado ultimamente si sia parlato soprattutto di Trump, dal ricovero in ospedale al ritorno trionfante alla Casa Bianca, all’affermazione che il virus sia meno letale dell’influenza. Di Biden si parla poco.
La scorsa settimana, dopo le interviste che i candidati hanno rilasciato in contemporanea a due diversi canali televisivi, le prime pagine dei giornali erano di nuovo tutte su Trump. Il presidente era negativo o positivo al tampone prima del dibattito contro Biden? Sostiene o condanna le teorie complottistiche? Paga o non paga le tasse?
L’anti Trump?
L’intervista di Biden, che per la verità è stata seguita da un milione di telespettatori in più rispetto a quella di Trump, è stata pacata e istituzionale, a tratti anche noiosa, e senza domande particolarmente scomode come quelle rivolte al presidente.
Ma chi è veramente Joe Biden? È solo l’anti Trump, il candidato che gli elettori democratici, e non solo, devono votare per impedire al presidente di governare per un secondo mandato, o piace a prescindere dalla impopolarità del suo avversario? C’è davvero entusiasmo per questo vecchio politico poco carismatico che ha passato gli ultimi 47 anni a Washington, prima come senatore e poi come vice di Obama?
Campagna per sottrazione
In questi mesi Biden ha condotto una campagna elettorale che mi piace definire per sottrazione: ha centellinato interviste e comizi e gestito con parsimonia apparizioni televisive e social media. La sua è chiaramente una strategia.
Lo scopo, al di là della necessità di celare certe debolezze (un eloquio non particolarmente brillante e una naturale predisposizione per le gaffe) è quello di lasciare la ribalta al presidente, trasformando le elezioni in un referendum sulla sua gestione del virus. Quindi Biden piace solo perché rappresenta l’usato sicuro mentre Trump la macchina da corsa che ha perso il controllo? La questione è più complessa.
Prendiamo in considerazione l’elettorato femminile. Tra le donne Biden è avanti di 25 punti rispetto a Trump, mentre nello stesso periodo del 2016, Hillary Clinton era avanti di soli 13 punti e il 55 percento delle elettrici bianche scelse comunque di non votarla. Oggi le cose sono molto cambiate.
Il presidente è in difficoltà tra le donne bianche, anche tra quelle che vivono nelle zone residenziali che di solito votano repubblicano. In questi mesi sono state le donne a portare maggiormente sulle spalle il peso della pandemia. Hanno perso il lavoro più degli uomini o hanno smesso di lavorare per occuparsi dei figli rimasti a casa da scuola.
Cosa pensano le giovani?
E le giovani americane cosa pensano di Biden? Lo chiedo alle mie studentesse. A loro il vecchio Joe piace molto. Hillary Clinton, invece, non piaceva affatto. Ricordo bene quanto si infuriarono quando Gloria Steinem, leader storica del movimento femminista, disse che le giovani newyorkesi disertavano i comizi della Clinton per andare a quelli del rivale Bernie Sanders «solo perché lì c’erano dei bei ragazzi». E quando Steinem disse che le donne avevano il dovere morale di votare per altre donne, le ragazze risposero che a interessarle era, ancora prima del genere, il programma elettorale dei candidati. Le donne votano per appartenenza politica e non per quella di genere.
Non è il candidato dell’élite
Alle mie studentesse Joe piace non solo perché ha promesso di rendere le università pubbliche completamente gratis, come aveva fatto quattro anni fa anche Sanders, ma perché non è percepito come il candidato delle élite, quello vicino agli interessi di Wall Street, parte integrante di un sistema corrotto. Lo stesso Sanders che nel 2016 aveva negato il suo appoggio a Hillary fino ad estate inoltrata, in queste elezioni sostiene la candidatura di Biden già dalla scorsa primavera.
Negli anni Joe ha conservato l’immagine del senatore-operaio, quello che ogni sera prendeva il treno da Washington per tornare in Delaware e mettere a letto i suoi figli, orfani di madre.
Punti critici
Nella sua lunga carriera politica ci sono anche vicende che molti considerano poco edificanti: la sua opposizione negli anni Settanta all’integrazione delle scuole attraverso il busing, e cioè il trasporto sugli autobus degli studenti neri che dai loro quartieri venivano portati nelle scuole dei bianchi (opposizione criticata durante le primarie anche dalla stessa Kamala Harris); la legge sulla criminalità del 1994 che alcuni considerano la causa primaria dell’incarcerazione di massa degli afroamericani (tutto cominciò invece con una legge federale del 1986 che inasprì le pene per il consumo di crack, modellata su quella voluta dal governatore democratico di New York Nelson Rockefeller negli anni Settanta); e i recenti distinguo che Biden ha usato nei confronti nel Green new deal, la riforma dell’ambiente presentata al Congresso da Alexandria Ocasio-Cortez che piace molto all’ala sinistra del partito.
A giudicare dal sostegno che Biden ha ricevuto in questi mesi dagli afroamericani non sembra per ora che le prime due vicende finiranno per nuocergli. Più rischioso invece è il Green New Deal, visto che Biden ha bisogno del voto dei giovani che mancò a Hillary Clinton nel 2016.
La debolezza è la sua forza
In ultimo credo che quello che Trump considerava il punto debole del suo sfidante – l’età avanzata e la mancanza di energia per la quale gli aveva attribuito anche l’appellativo di Sleepy Joe – si stia invece rivelando un punto di forza. Alla maggioranza degli americani, specialmente donne e anziani, ma anche coloro che scelsero di non votare nel 2016, l’immagine del presidente-superman che sconfigge il virus in quattro giorni e si dichiara invincibile non è piaciuta.
Il machismo non fa diminuire i morti che aumentano a centinaia ogni giorno. Le parole sul virus meno pericoloso dell’influenza sono apparse insensibili, oltre che irresponsabili, ai milioni di cittadini che si sono ammalati. Ne è dimostrazione il fatto che la maggior parte dei cittadini americani dichiara oggi di fidarsi più di Biden che di Trump nella lotta al virus.
Il paese sembra aver bisogno in questo momento di conforto ed empatia, della parola buona di un vecchio politico che conosce bene il dolore: molti anni fa Biden perse la moglie e una figlia appena nata in un incidente stradale e cinque anni fa è morto il figlio Beau. Joe è considerato “a regular guy” una persona normale, come dicono le mie studentesse, e forse è proprio questo che il paese vuole oggi, un ritorno alla normalità sia nella vita privata che in politica.
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