• Una eventuale presidenza Biden dovrà affrontare il tema delle Big Tech in ottica antitrust ma, soprattutto, quello degli eccessi della finanza sull’economia reale.
• Tra essi, la tassazione agevolata dei redditi dei grandi gestori di fondi alternativi, il cosiddetto “carried interest”, equiparato alle plusvalenze e quindi soggetto ad una tassazione non progressiva.
• Anche durante la pandemia si è evidenziata la capacità della finanza di “prendere in ostaggio” l’economia reale e l’occupazione, limitando la possibilità di rendere selettivi gli interventi di aiuto pubblico.
Se Joe Biden dovesse diventare il prossimo presidente degli Stati Uniti, magari con un Congresso a controllo democratico, il tema di “che fare con Wall Street” tornerà a porsi con forza. Il dibattito riguarda vari aspetti, per esempio quello dell’antitrust, che negli ultimi decenni ha poggiato su cosiddetto welfare del consumatore, cioè prezzi bassi e calanti. Secondo tale argomentazione, l’intervento dell’antitrust, alzando i prezzi, avrebbe danneggiato i consumatori e frenato l’innovazione, tenendo in vita aziende inefficienti.
L’ascesa delle grandi società tecnologiche e del loro potere di mercato ha indotto una rivisitazione critica di questi capisaldi antitrust, con richieste di interventi pubblici volti a ridurre la dimensione delle Big Tech, anche se non è chiaro che tipo di benefici tale intervento apporterebbe al consumatore.
Altro ema cruciale: la crescita senza precedenti del debito a livello globale, che alimenta la crescita e costringe periodicamente le banche centrali a intervenire per evitare il collasso del sistema, è alla base degli aumenti di diseguaglianza. La finanza e l’innovazione che essa produce non vanno demonizzate perché il loro ruolo è (o dovrebbe essere) porsi al servizio della produzione. Sfortunatamente, gli eccessi sono sotto gli occhi di chiunque voglia vederli.
Periodicamente, il dibattito pubblico negli Stati Uniti torna su quelle che appaiono sperequazioni maiuscole, come la tassazione del cosiddetto carried interest, che è una sorta di commissione di performance di cui godono i gestori di hedge fund e private equity, tassata non sulla base dell’imposta personale sul reddito bensì con la più lieve imposta sostitutiva sui capital gain, le plusvalenze.
Biden vorrebbe innalzare quest’ultima mentre altri chiedono che tutti i guadagni da incremento di valore degli attivi finanziari vengano tassati ad aliquota marginale, per ridurre le diseguaglianze.
La motivazione difensiva di chi prospera sulla flat tax del carried interest è che una tassazione più lieve è funzionale a remunerare il maggior rischio d’impresa che il gestore di un fondo alternativo si troverebbe a sostenere. Non un’argomentazione granitica. Non è chiaro perché, in un sistema fiscale progressivo, le aliquote personali d’imposta dovrebbero essere modulate sul rischio d’impresa, visto che a maggior rischio corrisponde maggiore remunerazione. Chi sostiene questa tesi è anche un sostenitore dell’adozione della flat tax ed è avverso a un sistema tributario progressivo.
La scommessa sul salvataggio
Grazie ai tassi d’interesse sempre più bassi, è aumentato il numero dei fondi che “vanno a leva”, cioè utilizzano il debito per amplificare gli utili, riuscendo così a mietere rilevanti commissioni di performance. Le manovre più sfacciate, in contesti del genere, sono quelle definite di dividend recapitalization, dove l’azienda produttiva acquisita dal fondo è costretta ad indebitarsi per pagare il dividendo alla controllante.
Se il credito non fluisce copioso e a costi sempre minori, il giocattolo si rompe ed i cocci vanno all’economia reale ed ai lavoratori. La bicicletta dei mercati finanziari deve quindi alimentarsi non solo delle attese di maggiori degli utili ma anche (soprattutto) della speranza che le banche centrali eviteranno il collasso del sistema.
La dominanza della finanza sull’economia reale si è toccata con mano anche durante la pandemia, quando l’esigenza primaria era quella di preservare il tessuto produttivo, ponendolo in una sorta di coma farmacologico, con alcune conseguenze non previste né -forse- volute. Che fare delle aziende controllate da fondi d’investimento di private equity e acquisite grazie gravandole di debito che i loro flussi di cassa dovranno provvedere a rimborsare? Dare aiuti pubblici di cui beneficerebbero anche i fondi di private equity e non solo i lavoratori delle aziende? O lasciarle al loro destino? O forse far entrare il capitale pubblico in quello delle aziende, spazzando via le azioni dei fondi?
Pensare a divieti puntuali, quando c’è di mezzo la finanza sempre più liquida, appare velleitario, visto che la possibilità di aggiramento della lettera e dello spirito delle norme è piuttosto agevole.
Districare l’economia reale dell’eccesso di finanza, senza azzerare quest’ultima, è il punto che dovrebbe essere al centro di qualsiasi economia liberale di mercato. Ma le difficoltà sono molte, come le risorse con cui il capitale finanziario cattura il regolatore.
Vedremo che accadrà con una eventuale presidenza Biden: probabile che alla fine si vedrà solo un blando aumento di tassazione, sia sui capital gain che sulle imposte personali sul reddito.
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