- «Una signora invalida è sola in casa, qualcuno potrebbe portarle solo l’uno sull’altro, allora con altri conoscenti abbiamo creato un gruppo in cui cerchiamo di dare una mano a chi più ne ha bisogno», dice Olga Komarnizkaja, una volontaria.
- Da piattaforme di svago o di lavoro i social in Ucraina sono diventati strumenti fondamentali per la sopravvivenza.
- Nessuno tra le persone con cui abbiamo parlato riesce a usare internet come prima. «Non riusciamo a staccarci da quello che sta succedendo, a guardare un film o ascoltare la musica».
«Una signora invalida è sola in casa, qualcuno potrebbe portarle qualcosa da mangiare?», «Ho del latte e delle patate, se possono servire a qualcuno»: richieste e offerte di aiuto circolano tra le chat Telegram e Viber e popolano le storie Instagram degli abitanti di Kherson. È la città dell’Ucraina meridionale che dallo scorso 2 marzo vive sotto l’occupazione russa.
Il passaparola social si è trasformato in una forma di resistenza nel corso delle ultime due settimane. Dal 24 febbraio, quando la Russia di Vladimir Putin ha dato il via all’invasione dell’Ucraina, a Kherson non sono più arrivati generi alimentari. Giorno dopo giorno, i supermercati della città si sono quasi completamente svuotati.
Una rete di volontari
«Abbiamo capito subito che per sopravvivere potevamo contare solo l’uno sull’altro, allora con altri conoscenti abbiamo creato un gruppo in cui cerchiamo di dare una mano a chi più ne ha bisogno», dice Olga Komarnizkaja, una volontaria.
Ha 25 anni e fino al 23 febbraio si stava specializzando in criminologia. «Siamo un gruppo di sette o otto persone, non facciamo parte di nessuna organizzazione, siamo persone normali che vogliono aiutare i nostri concittadini», spiega.
Olga raccoglie online le necessità delle persone, cerca di reperire i prodotti di cui hanno bisogno e poi glieli consegna, gratuitamente. «Le richieste mi arrivano soprattutto su Instagram e Telegram. Stilo un elenco e con gli altri volontari ci suddividiamo compiti e zone. Facciamo un giro per i vari centri all’ingrosso ancora attivi attorno a Kherson, compriamo le verdure dai contadini, oppure andiamo a ritirare a casa di chi ha qualcosa da donare».
«Funziona così soprattutto con i medicinali che mancano qui a Kherson, dove molte farmacie sono vuote. Per i pagamenti utilizziamo una carta, dove chi vuole può effettuare una donazione, andiamo avanti così. Negli ultimi giorni grazie al passaparola stanno arrivando donazioni anche dall’estero, dalla Polonia per esempio e persino da Mosca», aggiunge.
La condivisione
«Finché nei centri all’ingrosso c’è ancora qualcosa andiamo avanti. Non sappiamo come faremo domani, quando anche tutti i depositi saranno svuotati», dice Yulia Filipjeva, un’altra volontaria.
«Noi portiamo la spesa e i medicinali a chi più ne ha bisogno, anziani o mamme rimaste da sole con i mariti al fronte. Ma condividendo storie e facendo circolare le informazioni sui social in realtà ne beneficiano tutti. Spesso è utile sapere che in un determinato negozio è arrivata la farina per esempio. Oppure che una farmacia, finora chiusa, ha riaperto, quindi ha ancora scorte di medicinali», spiega Anna Zimbaljuk, una volontaria di 37 anni che ha qualche migliaio di follower su Instagram, dove prima pubblicava i suoi scatti da fotografa. Ora usa la sua visibilità per il passaparola.
Risparmiare tempo
«Le file davanti ai negozi sono lunghissime. Si fanno due o tre ore in piedi per comprare per esempio le patate o lo zucchero. Però bisogna anche sapere dove andare, non è facile reperire negozi che hanno i generi alimentari di cui abbiamo bisogno, in questo senso i social diventano molto importanti», continua Anna che usa Instagram anche per lanciare richieste di aiuto per la sua stessa rete di volontari.
«A volte pubblico delle storie rivolte a chi fa la fila per un determinato alimento che in quel momento è arrivato in quel determinato negozio e chiedo di fare la fila anche per noi che poi distribuiamo i prodotti porta a porta. Per esempio se stai facendo la fila per le patate, una volta nel negozio ti chiedo di comprare qualche chilo anche per noi. Così risparmiamo tempo».
Roaming nazionale
Dal 3 marzo, il giorno successivo all’occupazione russa, tutti gli abitanti di Kherson con cui abbiamo parlato hanno detto di avere problemi di rete sui cellulari. Dall’amministrazione provinciale hanno spiegato che il malfunzionamento era dovuto a “una disconnessione attuata dalle forze russe”.
Una situazione che sarebbe stata risolta anche grazie all’introduzione del “roaming nazionale”, un accordo tra le compagnie telefoniche ucraine che permette l’utilizzo di qualsiasi operatore, quando il proprio non funziona. Kherson è stata la seconda città ucraina in cui è stato attivato il “roaming nazionale”, dopo Kharkiv, una delle città più colpite dai bombardamenti.
Anziani e social
«Al momento qui a Kherson la rete dei cellulari è tornata anche se non funziona come prima, ma almeno riusciamo a coordinarci. Nei giorni invece in cui la copertura era scarsa ci siamo preoccupati soprattutto per gli anziani, con cui non riuscivamo a metterci in contatto perché non c’era campo nemmeno per le chiamate, non solo per l’accesso a internet», dice Yulia.
Gli anziani che non sanno usare i social si fanno aiutare dai vicini. Come nel caso di Nina che ha il figlio al fronte ed è rimasta sola in casa. «Sono invalida, sulla sedia a rotelle. I primi giorni mi sono arrangiata, ho cercato di cavarmela, ma a un certo punto non avevo più nulla in casa. Mi ha chiamato una vicina e mi ha detto che avrebbe dato il mio numero a dei volontari che ha conosciuto sui social. Loro poi mi hanno portato uova, pane, grechka (pietanza a base di grano saraceno)», racconta la donna di 65 anni.
Contro gli aiuti russi
Al momento in città mancano soprattutto latte e medicinali. «Come i supermercati anche le farmacie non vengono rifornite, in questo momento per esempio sto andando da una ragazza che mi ha scritto perché non aveva più latte in polvere per il figlio neonato che piangeva da diverse ore. L’abbiamo trovato sempre con il passaparola, ho pubblicato delle storie su Instagram e chi ne aveva in casa da donare mi ha risposto», spiega Olga.
La maggioranza dei cittadini di Kherson scelgono di non accettare gli aiuti umanitari che periodicamente arrivano in città da Mosca. «Abbiamo chiesto ai soldati e hanno risposto a noi volontari che il motivo per cui non lasciano arrivare altri prodotti alimentari in città è proprio come punizione per il rifiuto dell’aiuto russo», dice Olga.
Isolati
Ma nemmeno la rete di aiuti riesce a coprire l’intero territorio della provincia di Kherson. Ci sono molti paesi e piccoli centri abitati che dal 24 febbraio sono rimasti isolati, irraggiungibili anche per i volontari. I soldati russi ai posti di blocco non li lasciano passare.
A Kyselivka, paesino di poco più di 2mila abitanti a nord ovest di Kherson, non c’è luce e rete telefonica a causa dei danni dei bombardamenti. Olga spiega: «Mia mamma abita lì, la situazione è molto complicata. Sono preoccupata perché non riesco a mettermi in contatto con loro. Basta pensare che una donna stava partorendo e i soldati russi non hanno fatto arrivare da lei nemmeno l’ambulanza».
Nella notte tra il 9 e il 10 marzo ci sono stati bombardamenti a Stepanovka, paese di 3.500 abitanti a nord di Kherson. Sono state colpite anche le abitazioni dei civili.
Vivere alla giornata
L’interruzione di collegamenti con i paesi di campagna attorno a Kherson ha delle ripercussioni anche sulla catena alimentare. I contadini non riescono né a vendere i loro prodotti, né a nutrire gli animali per poi rifornire la provincia di Kherson di latte o uova.
«Le scorte in Ucraina stanno finendo, la produzione interna è ferma a causa della guerra», dice Nadiya Borysenko, fondatrice del banco alimentare dell’Ucraina. «I depositi si stanno svuotando. Non si trovano più cereali o pasta», dice Olga. Kherson non potrà resistere a lungo in queste condizioni.
«Non riusciamo a immaginarci il domani, viviamo alla giornata. Finché riusciamo ad aiutarci tra di noi, andiamo avanti», dice Yulia.
Senza musica
Da piattaforme di svago o di lavoro i social in Ucraina sono diventati strumenti fondamentali per la sopravvivenza. Nessuno tra le persone con cui abbiamo parlato riesce a usare internet come prima. «Non riusciamo a staccarci da quello che sta succedendo, a guardare un film o ascoltare la musica».
«Mia mamma è in pericolo, isolata a Kyselivka non riesco a pensare ad altro. In due settimane tutte le mie energie le ho usate per aiutare più persone possiamo. Durante il giorno compriamo e consegniamo cibo e medicinali. La sera, mentre faccio la fila nei negozi, leggo le richieste sui social e scrivo gli elenchi di quello che devo trovare io e di quello che invece hanno da donare altri che mi hanno scritto», dice Olga.
«La nostra vita è ferma al 23 febbraio», dice Anna. «Solo oggi, per la prima volta, mentre ero in macchina a fare le consegne, ho acceso per la prima volta la radio».
© Riproduzione riservata