La prima cosa che si nota una volta entrati in Russia, guardando attraverso la feritoia di un mezzo blindato ucraino, sono gli sterminati campi di frumento bruciati dal sole. L’incursione lanciata dalle truppe di Kiev lo scorso 6 agosto ha interrotto la stagione della raccolta e così, oltre il vetro antiproiettile spesso tre dita, si vede solo una foresta di spighe senza vita.

Siamo nella regione occupata di Kursk, quasi 1.500 chilometri quadrati di territorio russo che, sette settimane fa, le forze armate ucraine hanno occupato con un attacco a sorpresa. L’incursione è parte del “piano per la vittoria” che il presidente ucraino Volodymyr Zelensky sta presentando in queste ore alla Casa Bianca.

Cinque punti che includono anche nuove forniture di armamenti e un percorso assicurato per entrare nella Nato. «La Russia non può essere fermata soltanto con i negoziati», ha detto Zelensky, alludendo al fatto che la capacità ucraina di colpire la Russia e minacciarne il territorio sono un elemento chiave per costringere il Cremlino a trattare.

Tra russi e ucraini

Per arrivare nei territori occupati si parte da Sumy, città ucraina a poche decine di chilometri dal confine. Il viaggio sulle strade dissestate dura quasi due ore e, nonostante le preoccupazioni dei militari, procede in maniera tranquilla. In tutte le ore che trascorriamo in Russia, non si vedono droni e il fuoco dell’artiglieria resta sporadico e lontano.

Questa calma è un segnale d’allarme per i piani di Kiev. Significa che il Cremlino non ha abboccato all’amo: i generali ucraini speravano che la controinvasione distogliesse truppe russe dal fronte del Donbass, dove città e villaggi cadono uno dopo l’altro. Per il momento, però, il grosso dell’esercito russo resta lontano da Kursk. Domenica, lo stesso Zelensky ha dovuto ammettere che servirà altro tempo per valutare se l’incursione è stata un successo.

Il fatto che questa regione sia per il momento relativamente tranquilla è un sollievo per le migliaia di civili che vivono ancora in quest’area. Domani ha parlato con molti di loro e per tutelarli da possibili rappresaglie non rivelerà i loro nomi reali né quelli dei loro villaggi; anche se i soldati ucraini ci hanno accompagnato per tutto il viaggio, non ci è stata fatta alcuna richiesta di esaminare il materiale che abbiamo raccolto.

Alexander, 72 anni, un armeno che vive da anni in un villaggio pochi chilometri oltre il confine, conferma che la situazione è relativamente sicura. Nel salotto della sua abitazione, ingombro di scatole di cibo a lunga scadenza e lontano dai soldati ucraini, ci dice che, da quando è iniziata la battaglia, ha visto una sola esplosione. La vita però non è facile: manca la luce e il segnale telefonico e c’è un coprifuoco in vigore dalle 17 alle 10 di mattina. Manca anche il gas, e, con l’inverno che incombe, Alexander non sa come faranno a riscaldarsi.

«Non c’è niente da vendere o comprare, non abbiamo automobili, né modo di comunicare con l’esterno», dice Ivan, proprietario dell’unico supermercato del villaggio, dalla cui porta spalancata sulla strada esce odore di marcio. Per le strade si vedono solo veicoli militari e auto civili con un triangolo bianco dipinto o disegnato con del nastro adesivo, l’identificativo delle truppe ucraine impegnate nella regione di Kursk. Alcune hanno le targhe coperte da spray nero.

I soldati ucraini che ci hanno accompagnato girano tra i civili russi con un tablet. Mostrano un servizio della televisione russa in cui si parla di campi di concentramento per civili costruiti dagli ucraini. «Lo vedete che i media russi mentono? Dove sono questi campi di concentramento?». Katerina, una donna di mezza età malata di diabete, dice che il medico militare l’ha visitata e i soldati ucraini le hanno portato le medicine di cui ha bisogno.

Ma, quando si parla di propaganda, dice che non sa chi abbia ragione: la televisione russa dice una cosa, quella ucraina un’altra. Con i militari ucraini nasce una discussione che dura diversi minuti, e Katerina si emoziona: «Se noi russi siamo così crudeli allora dovete metterci davanti a un muro e fucilarci». Alla fine, un vicino arriva con una cassa di mele e la regala ai soldati e ai giornalisti, facendo tornare la calma.

Nel villaggio sono rimasti quasi soltanto anziani. Tutti gli altri sono riusciti a fuggire nella prima e unica evacuazione organizzata dalle autorità russe. Nikita, 19 anni, è rimasto intrappolato nella dacia della sua famiglia. «I soldati ci hanno preso i telefoni, non possiamo comunicare», dice. La sua fidanzata è a Kursk e con lei non ha contatti dal 7 agosto. La situazione ora è tranquilla, dice, ma se arriveranno le forze speciali russe per liberare il villaggio «sarà un massacro».

Nel frattempo, i rapporti con i soldati ucraini sono buoni. «Ci danno cibo e a volte sigarette». Fumare è uno dei problemi più pressanti per gli occupati. Da un mese e mezzo, le uniche sigarette che entrano nella regione sono quelle che i soldati ucraini portano con sé.

Rabbia e ambizioni

Ci spostiamo in un altro villaggio, molto più vicino alla linea del fronte. Qui incontriamo Darin e Darina, una coppia di contadini che parla surzhyk, il dialetto che mescola russo e ucraino. «Ci hanno abbandonati», dice Darina riferendosi al governo russo. Come molti altri, è arrabbiata per la mancanza di aiuti e di evacuazioni. Darina si commuove mentre ci porta a incontrare i suoi vicini, Alexander, un non vedente, e Vladimir, un disabile, vivi grazie al loro aiuto e al cibo e alle medicine portate dagli ucraini.

Persino qui, a due passi delle trincee della prima linea, la situazione sembra tranquilla e i pochi soldati ucraini che incrociamo ci salutano sorridenti dai loro fuoristrada e dalle motociclette. Vadym, l’ufficiale ucraino a capo del servizio stampa di questo fronte, resta abbottonato sui dettagli tattici: «I combattimenti sono intensi e la situazione resta delicata». Ma, secondo fonti ucraine e occidentali, dopo un improvviso convinto contrattacco una decina di giorni fa, le truppe russe hanno cessato i loro attacchi.

Mentre un mese fa l’incursione a sorpresa aveva riempito di speranza gli ucraini e i loro sostenitori, oggi sembra sempre più evidente che la guerra si deciderà da un’altra parte. Sul fronte orientale, dove i russi proseguono nei loro assalti, e a Washington, dove Zelensky cerca di persuadere la Casa Bianca ad accettare il suo ambizioso “piano per la vittoria”.

Vista da qui, usare questa regione desolata e spopolata come moneta di scambio per le aree minerarie e industriali del Donbass appare una possibilità remota. Katerina, la donna che ha discusso con i militari ucraini, non azzarda previsioni sul futuro del conflitto: «Di là ci sono i russi, qui gli ucraini. Noi in mezzo siamo solo povera gente».

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