L’accordo della vigilia di Natale siglato da Regno Unito e Unione europea prevede la fine del programma che dal 1987 ha permesso a 5 milioni di studenti di fare scambi culturali con i pari età delle altre nazioni europee. Johnson promette un progetto alternativo e migliore
L’accordo sulla Brexit siglato alla vigilia di Natale da Regno Unito e Unione europea comporta una serie di conseguenze molto rilevanti per i cittadini di tutta Europa. Tra queste, una colpisce in particolare gli studenti delle altre nazioni, che dal 1987 partecipano al programma Erasmus. Il progetto di scambio tra studenti europei, infatti, è stato considerato troppo oneroso dal governo Tory di Boris Johnson, che ha deciso di non includerlo nel “Deal” di uscita dall’Unione europea. Il programma Erasmus, dal 1° gennaio 2021, sarà dunque ufficialmente cancellato.
Londra ha annunciato di volerlo sostituire con un nuovo schema di scambi globali, allargato agli atenei americani o asiatici, e intitolato al matematico inglese Alan Turing (colui che svelò i segreti dei cifrari tedeschi di Enigma durante la seconda guerra mondiale). Secondo l’esecutivo guidato da Johnson, infatti, il progetto Erasmus è stato utilizzato finora più dai ragazzi continentali per periodi di studio nel Regno Unito, piuttosto che dai giovani britannici attratti dagli atenei dei Paesi Ue. Il capo negoziatore della Ue, Michel Barnier, ha detto di «rimpiangere» che «il governo britannico abbia scelto di non partecipare al programma europeo per gli scambi di studenti universitari».
Il ministro dell’Istruzione, Gavin Williamson, ha promesso uno stanziamento iniziale da 100 milioni di sterline per il progetto alternativo all’Erasmus, in grado di coprire dall'anno prossimo i costi di soggiorni di studio globali a 35mila studenti, contro i 15mila circa dell'ultimo Erasmus.
Cosa cambia per gli studenti dal 2021
Con la fine del progetto Erasmus, gli studenti britannici non potranno più avere la possibilità di accedere al programma. Dall’anno prossimo, però, per la Brexit tutti gli studenti europei che vorranno studiare nel Regno Unito dovranno richiedere il visto e pagare la retta universitaria come tutti gli altri loro colleghi non britannici.
Le rette universitarie, però, raddoppieranno e arriveranno anche a 30mila euro l’anno, perché verranno messe allo stesso livello di quelle che pagano gli studenti extra-europei. Per i giovani che sono già in Gran Bretagna per studio entro il 31 dicembre non cambia nulla: manterranno lo status attuale.
Per ottenere il visto dovranno essere stati ammessi a un corso di laurea riconosciuto dall’Home Office, avere una buona conoscenza della lingua inglese e avere risorse sufficienti per mantenersi e pagare le tasse universitarie, che sono piuttosto alte. La domanda va presentata tra i sei e i tre mesi prima dell’inizio del corso. La durata del visto varia da due a cinque anni, in base al percorso di studi scelto dallo studente. Dopo l’università, si può rimanere altri due anni in Regno Unito per cercare lavoro o tre anni per completare un dottorato.
Breve storia dell’Erasmus
Dal suo lancio nel 1987, cinque milioni di studenti hanno partecipato al programma Erasmus. Attualmente gli studenti europei in Gran Bretagna sono 150mila e, probabilmente, con l’entrata in vigore delle nuove regole saranno costretti a iscriversi alle costose università britanniche per poter fare la stessa esperienza che permetteva gratuitamente il programma europeo.
Ogni anno 400mila persone tra studenti, insegnanti e altro personale vanno all’estero grazie a Erasmus+, il programma erede di Erasmus e più aperto. Negli anni sono stati coinvolti 31 Paesi e oltre 4mila università. Due studi indipendenti pubblicati dalla Commissione europea a inizio anno hanno dimostrato che il programma Erasmus+ è stato letteralmente «una svolta per cinque milioni di studenti europei» perché «ha migliorato la loro vita personale e professionale e ha permesso di rendere le università più innovative».
Sempre secondo i dati diffusi dall’Unione europea, l’80 per cento degli studenti Erasmus ha trovato un lavoro entro tre mesi dalla laurea e più del 90 per cento sostiene che l’esperienza ha contribuito a migliorare la capacità di lavorare e collaborare con persone di culture diverse, oltre al raggiungimento di un sentimento di «identità europea».
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