Da quasi due mesi i manifestanti chiedono le dimissioni del primo ministro, Bojko Borisov. Ma soprattutto vogliono cambiamenti strutturali in uno stato ostaggio degli oligarchi e senza voce a Bruxelles
- La riforma della giustizia è una delle richieste specifiche dei manifestanti che hanno bloccato la vita politica del paese. Si sta consumando uno scontro istituzionale fra il primo ministro e il presidente della Repubblica.
- La piazza bulgara critica anche la cancelliera tedesca, Angela Merkel, accusata di ignorare strategicamente gli attacchi al sistema giudiziario del paese per mantenere la stabilità del suo gruppo al parlamento europeo.
- I procuratori hanno dato mandato di perquisire gli uffici del presidente della Repubblica e hanno arrestato due suoi collaboratori. Lui ha detto che la giustizia è collusa con la mafia.
Da 56 giorni in Bulgaria si tengono manifestazioni di protesta, organizzate nella capitale Sofia, ma anche in varie altre città del paese. Lungo questo periodo, raduni di sostegno sono organizzati anche all’estero. "Mettiamo fine alla mafia e alla corruzione, una volta per tutte! Insieme, per un futuro migliore!” gridavano cittadini bulgari a Londra qualche settimana fa. I temi che dominano le proteste da quasi due mesi sono la messa in ostaggio dello stato da parte degli oligarchi e la lotta alla corruzione. L’agenda dei manifestanti include richieste specifiche come le dimissioni del primo ministro, Bojko Borisov, ma insiste soprattutto sulla necessità di cambiamenti strutturali, in primis la riforma della giustizia.
Dai primi giorni delle proteste si richiede con insistenza anche l’intervento dell’Unione europea. Viene presa di mira la cancelliera tedesca, Angela Merkel, accusata di ignorare strategicamente gli attacchi alla giustizia da parte del governo per garantire la stabilità del suo gruppo nel parlamento europeo. Gli eventi che precedono l’avvio delle proteste sono riconducibili al 7 luglio 2020, quando una piccola barca si è diretta verso una spiaggia di una località turistica sul Mar Nero, per rivendicare in diretta streaming il diritto di accesso.
Vicino a quella spiaggia si trova la lussuosa villa di Ahmed Dogan, un controverso uomo politico bulgaro, nonché fondatore del partito della minoranza turca in Bulgaria (il Movimento per i diritti e le libertà, Dps), pilastro di numerose coalizioni di governo post comuniste. Al timone della barca c’era Hristo Ivanov, ex ministro della Giustizia e attuale presidente di un nuovo partito con una piattaforma anti-corruzione, Sì, Bulgaria!, che intendeva così denunciare l’abuso di potere a scapito della proprietà pubblica, piantando una bandiera bulgara sulla spiaggia in questione.
Il suo gesto ha provocato l’intervento violento di alcuni misteriosi uomini che lo hanno spinto in acqua: si è poi scoperto che erano agenti dei servizi di sicurezza bulgara a servizio di Dogan, anche ora che non ha più incarichi pubblici. Le immagini dello scontro sono diventate virali e hanno sollevato la protesta di alcuni cittadini a Sofia, indignati dall’utilizzo di denaro pubblico per proteggere un oligarca e dall’uso esclusivo di suolo pubblico da parte di un ex politico. A supporto di questi manifestanti si è schierato il presidente della Repubblica, Rumen Radev, generando uno scontro istituzionale.
In questo contesto si delinea il secondo fattore scatenante, ovvero l’arrivo della procura negli uffici della presidenza della Repubblica e il conseguente arresto di due collaboratori del presidente. Il presidente ha definito il gesto una ritorsione da parte del primo ministro, accusando apertamente i rappresentanti della giustizia di essere collusi con la mafia. Ha utilizzato lo stesso registro argomentativo qualche ora dopo quando, in mezzo ai manifestanti con cartelloni recanti la scritta “La mafia semina solo morte”, ha detto: “La mafia bulgara ha ottenuto l'impossibile e ha compattato le persone oneste".
Da quel momento, manifestazioni e contromanifestazioni si sono propagate in tutto il paese, con alcuni momenti di violenza. La vita politica bulgara è sospesa. Questi eventi si inseriscono in un più ampio malessere democratico. La Bulgaria è uno degli stati membri più poveri dell’Ue, e, assieme alla Romania, fa parte dei paesi più corrotti in base all’Indice di percezione della corruzione.
La corruzione, infatti, è un fenomeno capillare le cui ramificazioni si ritrovano non soltanto negli intrecci oscuri fra politica ed economia, ma anche nelle progressive e insistenti restrizioni alla libertà di stampa. Un elemento importante nell’anatomia di questo disagio è anche il conflitto fra il presidente e il primo ministro, maturato già dal 2016. In questo periodo, lo scontro fra i due rappresentanti del potere esecutivo si accompagna ad accuse reciproche. Se il presidente critica il primo ministro peri fallimenti nel campo della lotta alla corruzione e per derive autoritarie, attivando il suo potere di veto, Borisov accusa il capo dello stato di compromettere l’unità nazionale del Paese e di utilizzare metodi apparentati a quelli del Kgb.
Durante i quasi due mesi di proteste, le richieste di dimissioni non hanno destabilizzato il primo ministro, che rifiuta di dimettersi e ha annunciato di voler rimanere in carica fino alla fine del suo mandato, nel 2021. Questo giustifica la sua posizione in nome dell’interesse nazionale, accusando i protestatari di voler destabilizzare la sua politica estera, in particolar modo l’ingresso della Bulgaria nella zona euro.
Sorprende il silenzio delle istituzioni europee sulla questione. Inizialmente unicamente i Verdi europei si pronunciano ed esprimono il loro sostegno per i manifestanti. Soltanto il 28 agosto, una sottocommissione del parlamento europeo si è interessata alla questione, invitando rappresentanti ufficiali a un incontro per chiarimenti. In questa occasione, l’eurodeputata olandese Sophie In't Veld ha chiesto alle istituzioni europee di pronunciarsi sullo stato di diritto in Bulgaria: "Se vogliamo dare sostegno alle persone in Bielorussia che chiedono a gran voce la democrazia, lo stato di diritto e i diritti fondamentali, allora noi stessi dovremmo essere irreprensibili".
Negli ultimi giorni le tensioni a Sofia stanno aumentando. La proposta della maggioranza di avviare i lavori per una nuova costituzione non ha convinto i manifestanti che hanno circondato il parlamento. Il presidente Rumen Radev ha dato voce alle domande dei manifestanti e chiede le dimissioni del governo. La situazione è molto tesa, come risulta evidente dai 65 arrestati e dai numerosi feriti. L’instabilità può sfociare in un indebolimento progressivo del governo oppure in elezioni anticipate, soprattutto se si verifica una reazione critica dell’Ue.
Manifestazioni di questo genere non sono nuove nell’Europa post-comunista. In Bulgaria nel 2013, in Slovacchia in 2018, in Romania fra il 2017 e il 2019, proteste simili hanno dato voce a un disagio generalizzato che ha come punto di incontro la corruzione. Ma se questi eventi sono un termometro dellavita democratica del paese, altrettanto importante è osservare la lentezza della reazione europea.
© Riproduzione riservata