Dal 7 ottobre sono aumentate le proteste e gli scontri tra palestinesi e coloni israeliani. Dopo Gaza e il Libano questa è la zona che preoccupa di più. E i raid sono ormai quotidiani
Mentre si intensificano i bombardamenti e le operazioni di terra dell’esercito israeliano a Gaza, si susseguono notizie di tensioni crescenti nei Territori Occupati.
Dall’attacco di Hamas del 7 ottobre le proteste dei palestinesi in Cisgiordania, gli scontri con la polizia e l’esercito che presidiano la zona nonché con le migliaia di coloni israeliani insediatisi nella regione da decenni, stanno alimentando timori che si possa aprire un ulteriore fronte di guerra per Israele. Il terzo dopo quello con Hezbollah nel nord del paese, mentre cresce anche la preoccupazione che si possano intensificare gli scontri con le milizie sciite in Siria e Iraq.
I raid dell’esercito israeliano in Cisgiordania, già frequenti negli ultimi due anni, sono ormai all’ordine del giorno dall’inizio della guerra e fanno registrare spesso vittime palestinesi, come pure, a volte, tra le file dell’esercito del paese ebraico.
Scontri e vittime
Venerdì, durante un’operazione finalizzata all’arresto di militanti, militari israeliani sono stati attaccati a Jenin e rispondendo hanno ucciso due uomini, secondo quanto ha fatto sapere l’esercito. Hamas ha poi confermato che una delle due vittime apparteneva alle sue milizie di combattenti, mentre il secondo alla Jihad islamica, una formazione alleata di Hamas a Gaza e in Cisgiordania.
A questi si aggiungono altri due morti palestinesi, uno a Jenin e una nella città di Qalqiya, di cui ha dato conto l’agenzia palestinese Wafa. L’esercito israeliano ha riferito di essere stato attaccato con armi da fuoco a Qalqiya, mentre stava cercando di far chiudere un negozio il cui proprietario era accusato di incitare la violenza contro Israele e di aver colpito una persona rispondendo al fuoco dei militanti palestinesi.
I venerdì di preghiera
I venerdì di preghiera sono stati dall’inizio della guerra occasioni di proteste da parte dei palestinesi e di scontri con le forze dell’ordine. L’altro ieri non ha fatto eccezione.
Presso la moschea Al Aqsa a Gerusalemme, la polizia ha permesso di entrare a pregare solo a 5.000 persone quando in tempi normali ogni venerdì questa moschea, il terzo luogo santo dell’islam, è frequentato da decine di migliaia di fedeli. La polizia ha anche usato gas lacrimogeni per disperdere i palestinesi che volevano entrare nella moschea, dove dall’inizio della guerra l’accesso è molto ridotto.
Ieri sui social circolavano video di cortei di protesta a Ramallah, capitale della Cisgiordania, immagini ormai quasi giornaliere, come pure notizie di scontri tra palestinesi e coloni e tra palestinesi e soldati israeliani.
Secondo l’ultimo aggiornamento dell’agenzia delle Nazioni unite per i rifugiati palestinesi (Unrwa), 103 palestinesi, di cui 32 bambini, sono rimasti uccisi in Cisgiordania dal 7 al 26 ottobre. L’esercito israeliano ha recentemente effettuato anche raid aerei e non solo di terra nella zona e gli scontri tra palestinesi e coloni israeliani sono diventati sempre più frequenti. Questi scontri hanno prodotto secondo l’Unrwa 607 sfollati palestinesi, incluso 211 bambini dall’inizio della guerra.
Tensioni crescenti
Israele occupa la zona, schiacciata tra Israele e la Giordania, dalla guerra dei sei giorni del 1967, in cui peraltro Israele aveva occupato anche Gaza, da cui è però uscito definitivamente nel 2005, imponendo ai coloni israeliani stabilitisi nell’enclave di andarsene.
I coloni israeliani stabilitisi in Cisgiordania sono 700.000, di cui circa 230.000 a Gerusalemme est.
Scontri e tensioni tra israeliani e palestinesi si erano già intensificati prima della guerra, dal 2022, causando 197 morti palestinesi, secondo dati dell’Associated press, dall’inizio di quest’anno al 7 ottobre.
Le tensioni crescenti in Cisgiordania avevano portato Israele a concentrare la sua attenzione molto di più su questa zona che su Gaza, contribuendo, secondo vari analisti, a quel «fallimento di intelligence» che non ha permesso al paese ebraico di prevenire ed evitare l’attacco di Hamas.
Ora la situazione potrebbe degenerare in una spirale di violenza, si teme da più parti, con più proteste da parte dei palestinesi, gli israeliani che trasferiscono più militari nella zona e maggiori rappresaglie da parte dei coloni nei confronti della popolazione palestinese della zona.
L’Autorità palestinese, presieduta dall’ottantasettenne Mahmoud Abbas della formazione politica Fatah, avversaria di Hamas, si è indebolita parecchio negli ultimi anni ed è poco rispettata dalla popolazione locale che la considera corrotta e inadeguata. Forze di polizia dell’Autorità, in ogni caso, controllano solo parte della Cisgiordania.
Armi iraniane
A destare ulteriori preoccupazioni è la presenza massiccia di armi di vario genere in mano ai militanti di Hamas e della Jihad islamica nella zona, ma anche alla popolazione civile. La provenienza di questo arsenale, che comprende mitra, bombe e granate, sarebbe iraniana, secondo alcuni esperti di sicurezza in Medio Oriente. Il paese, nemico numero uno di Israele e aperto sostenitore di Hamas, sarebbe riuscito negli ultimi anni a fare entrare queste armi attraverso la Giordania non solo nei Territori ma anche in Siria e in Libano.
I media israeliani hanno riportato la notizia di vari tentativi di introdurre armi illegalmente dalla Giordania negli ultimi mesi. Inoltre, negli ultimi due anni, la polizia palestinese avrebbe sequestrato annualmente da 600 a 1.000 armi di vario genere in Cisgiordania, circa il doppio rispetto alla cifra annuale registrata negli anni precedenti.
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