- La repressione in corso in Colombia, peraltro messa in atto con armi prodotte da una fabbrica spagnola che ha fra i suoi partner l’impresa italiana Leonardo, non può lasciare inerti politica e istituzioni italiane.
- Tra le tante dichiarazioni delle cancellerie europee e della Ue, si nota il silenzio dell’Italia, del suo ministro per gli Affari Esteri e del governo italiano. Una interrogazione parlamentare ne chiede conto.
- Il governo pare ritenere la Colombia un luogo non strategico. Nonostante la morte di Mario Paciolla e l’impegno della nostra società civile per la pace in quella terra.
Cinquanta morti dall’inizio delle manifestazioni, centinaia di feriti, una vera e propria strategia di terrore messa in atto dalla forza di polizia colombiana. Le terribili immagini dell’arma Venom che spara lacrimogeni per le strade delle principali città colombiane non ci può lasciare indifferenti, specialmente se l’impresa che fabbrica Venom è la spagnola Vimad Global Service, che vede tra i suoi partner la Leonardo, impresa italiana partecipata al 30 per cento dal ministero dell’Economia e delle Finanze italiano. Senza alcun dubbio sono affari Made in Europe.
Una repressione, quella di questi ultimi giorni, che vede vittime soprattutto i giovani, gli studenti, le giovani leader delle comunità indigene come Daniela Soto. La futura classe dirigente.
Voci di indignazione, sulle sistematiche violazioni dei diritti umani, si sono alzate in questi giorni da parte del premio Nobel Adolfo Pérez Esquivel, secondo il quale «la violenza in Colombia è un pericolo per la democrazia del continente» e il Centro di ricerca e di educazione popolare per la pace dei gesuiti a Bogotà chiede garanzie «per la vita ed il diritto alla protesta» ed esprime «indignazione di fronte alle gravi violazioni dei diritti umani che si stanno commettendo contro la popolazione i vari punti del paese».
Della scorsa domenica l’esortazione alla preghiera di Papa Francesco per la fine della violenza nelle città colombiane che si unisce alla mobilitazione dell’arcivescovo di Cali, monsignor Monsalve che «segue con profondo dolore i tristi e inaccettabili attacchi alla vita e alla sicurezza della comunità indigena» e afferma con forza che «la vita è la strada! Siamo tutti soggetti di diritti, doveri, bene comune e benessere! Protesta senza armi e dialogo per arrivare ad un accordo».
Il silenzio di Draghi e Di Maio
Tra le tante dichiarazioni delle cancellerie europee e della Unione europea, si nota il silenzio dell’Italia, del suo ministro per gli Affari Esteri e del governo italiano. La presidente del Comitato per i diritti umani, l’onorevole Laura Boldrini, gli onorevoli Lia Quartapelle e Graziano Del Rio, hanno depositato un’interrogazione parlamentare per chiedere al governo italiano quali azioni intende porre in essere per chiedere allo stato colombiano di mettere fine alla repressione, garantire la libertà di riunione pacifica e avviare un dialogo con le rappresentanze sociali per fronteggiare la crisi economica e sociale del paese. L’eurodeputato Massimiliano Smeriglio si unisce in una lettera appello sottoscritta da decine di parlamentari europei.
Eppure l’Italia porta il suo contributo alla costruzione della pace in Colombia attraverso l’opera e l’energia delle organizzazioni non governative che quotidianamente mettono a fattor comune con le comunità rurali ed indigene le proprie esperienze, saperi, vissuti per giungere a quel cambio di paradigma economico necessario per una pace fatta di giustizia sociale.
Generazione Paciolla
Un silenzio pesante quello dell’Italia che ha pagato un contributo altissimo per il suo impegno per la pace in Colombia: la morte di Mario Paciolla, il giovane napoletano collaboratore delle Nazioni Unite, morto in circostanze non ancora chiarite e per il quale si è mobilitata la società civile italiane.
La Colombia sembrerebbe, per il governo italiano, un luogo non strategico. Nonostante tutto. Nonostante la morte di Mario Paciolla, nonostante le organizzazioni criminali colombiane siano fortemente intrecciate con quelle italiane, nonostante i corpi e le vite dei cooperanti italiani siano al servizio del popolo colombiano.
Non basta. Così come non è bastata la morte di Giulio Regeni e la totale non collaborazione dell’Egitto nelle indagini, per impedire a Fincantieri di vendere le due fregate Fremm al Paese di al Sisi.
La vita e le sorti dei giovani colombiani che protestano in queste settimane e le storie di Giulio Regeni, Mario Paciolla, Ilaria Alpi e Nadia De Munari sembrano senza connessione, lontane tra loro. Non è così, c’è un filo rosso che le lega: è quello della ricerca della verità sul traffico di armi, di contrasto alle economie criminali, della lotta per diritto alla terra, all’educazione emancipatrice e trasformatrice ed a un lavoro giusto, a servizi di salute pubblica. Il diritto a una vita degna, unico antidoto allo sfruttamento ed alla violenza.
Per tutti loro e per i nostri giovani impegnati nella costruzione della pace in Colombia, l’Italia non può rimanere un giorno di più in silenzio. E’ il tempo di uscire dall’indifferenza, di riportare la politica nelle relazioni internazionali, prendere una posizione chiara su quanto sta accadendo in Colombia.
Proposte per un cambio di rotta
La violenza strutturale che la Colombia vive da decenni, necessita di proposte altrettanto strutturali. Il governo italiano deve raccogliere la visione profetica di don Oreste Benzi e dare corso, partendo dalla Colombia, alla prima sperimentazione del ministero della Pace, quale avamposto di riconoscimento della presenza italiana nelle aree di conflitto, quotidianamente attiva per generare un tessuto sociale positivo, in grado di superare le forze disgreganti e reagire alle spinte violente che scaturiscono dai conflitti sociali ed economici e dalle periferie dell’emarginazione. È necessaria la costituzione da parte del ministro per gli Affari Esteri, di concerto con le cancellerie europee, di un tavolo di dialogo con le organizzazioni sociali colombiane per addivenire ad un concreto monitoraggio internazionale sul compimento degli accordi di pace in particolare sulla riforma rurale integrale e diritto alla terra, sostituzione delle coltivazioni illecite e messa al bando delle fumigazioni, la valorizzazione del ruolo delle donne nel processo di pace come indicato dalla risoluzione Onu 1325 e il sostegno dei progetti di educazione popolare dei movimenti sociali che lavorano nelle periferie urbane per l’empowerment di donne, ragazze e giovani, contro la segregazione e la disuguaglianza.
Il parlamento italiano sospenda l’esame del trattato di libero commercio tra Ue e Colombia e costituisca una commissione per dare ascolto e parola alle organizzazioni non governative e associazioni italiane che operano in Colombia e che con le comunità rurali e indigene stanno costruendo quell’economia sociale utile per mantenere la pace.
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