Il mar Rosso è il luogo dei grandi giochi geopolitici di oggi. Porti, piattaforme commerciali e basi militari attirano potenze come Russia, Cina, Stati Uniti, e molti altri attori internazionali
- Mar Rosso: una collana di porti, piattaforme commerciali e basi militari, intessuta da una miriade di piccoli accordi internazionali.
- In passato se ne parlava per lo stretto di Suez o le guerre arabo-israeliane, ma oggi tutto il mare è al centro di un nuovo grande gioco geopolitico in cui si affacciano attori vecchi e nuovi.
- Una volta erano Egitto e Arabia Saudita ad avere la longa manus sul mare. Oggi le cose sono cambiate. La metà dei maggiori sei porti commerciali sauditi è gestita da operatori emiratini. E ci sono anche Usa, Cina, Giappone, Italia, Russia, Cina.
Mar Rosso: una collana di porti, piattaforme commerciali e basi militari, intessuta da una miriade di piccoli accordi internazionali. In passato se ne parlava per lo stretto di Suez o le guerre arabo-israeliane, ma oggi tutto il mare è al centro di un nuovo grande gioco geopolitico in cui si affacciano attori vecchi e nuovi. Il Consiglio degli stati litoranei arabi e africani del mar Rosso e golfo di Aden raggruppa tutti i paesi coinvolti salvo Israele: Arabia Saudita, Sudan, Egitto, Gibuti, Somalia, Eritrea, Yemen e Giordania.
L’Etiopia ha chiesto di entrare come osservatore ma ancora non ha ricevuto risposta. Dal momento che lo Yemen è in guerra e la Somalia a pezzi, si comprende quanto non sia facile gestire un tratto di mare dalle caratteristiche delicate e strategiche non minori di quelle del golfo Persico più a oriente.
La nuova geopolitica
Tradizionalmente l’Egitto e l’Arabia Saudita, ciascuno sul suo versante, hanno avuto la longa manus sul mare, fatta eccezione per il porto di Gibuti con la sua base francese. Oggi le cose sono molto cambiate. La metà dei maggiori sei porti commerciali sauditi è gestita da operatori emiratini. A causa della guerra in Yemen, l’Eritrea ha riaperto il porto di Assab affidato anch’esso agli Emirati che in questo caso ne hanno fatto una base militare. Asmara pare aver anche negoziato su Massawa con la società del porto di Dubai.
A Gibuti le basi navali si sono moltiplicate con l’arrivo di Usa, Cina, Giappone e Italia. I russi si stanno installando a Port Sudan e la Turchia attende la conferma del governo di transizione dell’accordo stipulato con il precedente regime di Khartoum per l’utilizzo del porto di Suakin poco più a sud. I porti somali sono in vendita al miglior offerente, tra cui ovviamente gli emiratini impiantati a Berbera (in joint venture con l’Etiopia) e a Bosaso. Ora spuntano anche i turchi molto presenti a Mogadiscio. A Gibuti i cinesi sono riusciti a buttare fuori i soliti emiratini e ad acquisire il 23 per cento di tutta l’area portuale commerciale. Infine tramite gli Houti che controllano Hodeida, anche l’Iran si è affacciato sul mare. L’Egitto dal canto suo ha rinforzato la base militare di Berenice dopo l’annuncio della presenza russa a Port Sudan.
L’arteria del commercio mondiale
Arteria vitale del commercio mondiale (il 95 per cento del quale avviene via mare), tutto ciò che scorre tra il canale e lo stretto di Bab el Mandeb è in allerta. Uno dei motivi che indussero la comunità internazionale a metter in piedi Atalanta, la più grande operazione anti-pirateria mai organizzata, dal golfo di Aden all’Oceano Indiano occidentale, fu proprio la necessità di difendere i delicati equilibri del mar Rosso da cui passa il 10 per cento del traffico cargo globale ed oltre il 40% di quello tra Asia ed Europa.
Dal punto di vista geopolitico gli esperti chiamano “arena del mar rosso” tutta l’area coperta dagli interessi degli stati che afferiscono al mare e alle sue zone contigue. In pratica una zona che va dalla Turchia al Mozambico, scendendo lungo la costa africana orientale. Una riedizione degli storici legami commerciali di secoli fa: quell’oceano Indiano occidentale in cui dominavano gli ottomani, occupando tutta la costa araba ma anche basi sull’altro versante come Massawa.
Malgrado ogni sforzo, né il Cairo né Riad sono mai riusciti ad avere il completo controllo e sono oggi costrette a negoziare alleanze. Nondimeno i dati economici disegnano una gerarchia di influenze: il pil saudita da solo rappresenta più del doppio di quello combinato di Egitto, Sudan, Eritrea e Somalia. D’altro canto l’Arabia ha bisogno delle terre fertili africane sul lato opposto. Il convitato di pietra di ogni transazione è Israele, mai ammesso nel Consiglio. Ora tuttavia, con gli accordi di Abramo e il ravvicinamento di Emirati e Sudan, è possibile che le cose cambino. Da quando la pirateria è stata ridotta a zero, le varie regioni semi-indipendenti somale hanno cambiato strategia, iniziando a sfruttare la loro posizione geografica.
La Turchia ad esempio farà ricerche petrolifere davanti alle coste somale mentre contatti sono stati presi con l’Etiopia che vuole dotarsi di una marina militare e ha bisogno di un porto. Ma la prudenza è d’obbligo con Mogadiscio: la carenza di controllo del territorio rende possibili infiltrazioni jihadiste sia da parte degli Shabab che a causa della presenza ostinata di cellule di al-Qaeda.
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