In una importante decisione presa all’unanimità, i giudici hanno affermato il diritto di un’agenzia cattolica di Philadelphia che si occupa di affidi di minori a non prestare i suoi servizi alle coppie gay. Nell’opinione di maggioranza John Roberts ha scritto: «L’agenzia cerca un accomodamento che le consentirebbe di continuare a lavorare con i bambini di Philadelphia in un modo coerente con il suo credo religioso; non cerca di imporre la sua fede ad altri».
- La controversia era nata a seguito del ricorso presentato da un’agenzia cattolica, la Catholic social services (Css), che si occupa di accogliere bambini e orfani e di assegnarli a eventuali famiglie affidatarie.
- Per i giudici della Corte suprema, all’unanimità (9-0), i diritti dell’agenzia cattolica sono stati violati e il diritto di libertà religiosa non è stato tutelato.
- Dopo la pubblicazione della sentenza si sono levate grida di giubilo da una parte e di condanna dall’altra. È il classico posizionamento che richiede la polarizzazione permanente ormai egemone. Ma la decisione della Corte suprema, nonostante l’unanimità, è molto specifica e minimalista.
Come ci ha insegnato il giurista Robert Cover il diritto può essere un killer preciso. Nei conflitti fra diritti può accadere che alcuni restino in vita e che altri cadano. Il diritto non serve soltanto a risolvere controversie giuridiche, ma racconta e insegna.
Così, negli ultimi anni, diverse controversie di alto profilo hanno visto confrontarsi la tutela dell’orientamento sessuale e la libertà religiosa. Proprio questo conflitto è al centro della decisione della Corte suprema degli Stati Uniti e che ha risolto il caso Fulton v. City of Philadelphia. La controversia era nata a seguito del ricorso presentato da un’agenzia cattolica, la Catholic social services (Css), che si occupa di accogliere bambini e orfani e di assegnarli a eventuali famiglie affidatarie.
L’agenzia, gestita dall’arcidiocesi locale, aderisce ai principi della religione cattolica e per questo motivo non riconosce e non certifica ai fini delle sue attività le coppie omosessuali e le coppie eterosessuali non sposate. Come è emerso nel corso del procedimento, nessuna coppia omosessuale si era mai rivolta all’agenzia, in quanto nella città di Philadelphia sono disponibili altre agenzie che non aderiscono ai dettami religiosi del cattolicesimo.
Dopo un’inchiesta del Philadelphia Enquirer, la città di Philadelphia ha deciso di non rinnovare la convenzione annuale con la Css che prevedeva un contributo pubblico per i servizi dell’agenzia e conteneva una clausola di non discriminazione alla quale era possibile derogare prevedendo delle eccezioni.
La Css ritiene così di aver subito un danno e una discriminazione a causa della sua affiliazione religiosa e chiede che venga riaffermata la tutela della libertà religiosa prevista dal primo emendamento costituzionale. Dall’altra parte si ritiene, invece, che non sia possibile invocare la libertà religiosa per discriminare. Due mondi sempre più in perenne conflitto, al centro delle culture wars statunitensi. Una narrazione dovrà vivere, l’altra dovrà perire.
Per i giudici della Corte suprema, all’unanimità (9-0), i diritti dell’agenzia cattolica sono stati violati e il diritto di libertà religiosa non è stato tutelato.
Le eccezioni previste dalla città di Philadelphia rispetto alla sua politica di antidiscriminazione non possono essere difese rispetto alla giurisprudenza precedente della Corte che prevede che tali norme debbano essere di applicazione generale e neutrale e non discrezionale.
Come scrive il presidente John Roberts nell’opinione di maggioranza: «L’agenzia cerca un accomodamento che le consentirebbe di continuare a lavorare con i bambini di Philadelphia in un modo coerente con il suo credo religioso; non cerca di imporre la sua fede ad altri».
Dopo la pubblicazione della sentenza si sono levate grida di giubilo da una parte e di condanna dall’altra. È il classico posizionamento che richiede la polarizzazione permanente ormai egemone. Ma la decisione della Corte suprema, nonostante l’unanimità, è molto specifica e minimalista.
Non dovrebbe invitare a facili trionfalismi o ad avventate denunce. Una procedura che non avesse previsto eccezioni avrebbe probabilmente retto davanti alla Corte. È forse per questo motivo che il giudice Alito, pur schierandosi con la maggioranza, ha scritto un’opinione concorrente, di ben 77 pagine, in cui si lamenta per una sentenza scritta su «carta straccia».
Lui avrebbe preferito una decisione chiara, un diritto killer come quello che racconta Cover. Ma il mondo del diritto vive anche di fatiche, di grigi e di sfumature. Lo sa bene il residente della Corte, Roberts, che della tutela dell’istituzione ne ha fatto una missione.
Una decisione all’unanimità su un caso così delicato è sicuramente una sua vittoria. Il caso deciso ieri contribuisce solo a scrivere un nuovo piccolo paragrafo del discorso collettivo sui rapporti fra due diritti fondamentali. Ve ne saranno molti altri da scrivere. Con buona pace delle semplificazioni, di ogni parte.
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