Mentre le feroci proteste continuano, la Corte suprema di Israele ha fatto sapere che esaminerà le numerose petizioni presentate contro la riforma della giustizia voluta da Netanyahu.
Le proteste e le condanne della società civile rivolte a Netanyahu e alla sua riforma della giustizia non si fermano. Intanto la Corte suprema, principale bersaglio del presidente Netanyahu, ha fatto sapere che esaminerà le numerose petizioni presentate contro la riforma.
Una delle petizioni è stata presentata dall’Associazione degli avvocati israeliani, che rappresenta gli oltre 70mila avvocati del paese. Dal sito web della Corte suprema si apprende che un’udienza sarà fissata nel mese di settembre. Le petizioni sono arrivate alla Corte suprema subito dopo che la Knesset ha approvato una prima legge fondamentale del più ampio disegno di riforma della giustizia.
In particolare, la legge approvata lunedì toglie un potere fondamentale alla Corte suprema: la facoltà dei tribunali di sottoporre, di propria iniziativa, al controllo giurisdizionale qualsiasi atto amministrativo del governo, compresa la nomina di pubblici ufficiali.
Dunque, i ricorsi presentati alla Corte suprema riguardano unicamente la legge che è stata approvata lunedì ma sicuramente molte altre petizioni saranno presentate in un futuro prossimo, quando le altre parti della riforma saranno approvate dalla Knesset e diventeranno legge.
Infatti, la legge che elimina la clausola di “ragionevolezza” con la quale i tribunali possono impugnare gli atti amministrativi del governo è solo una parte di una riforma che secondo i suoi detrattori mette seriamente in pericolo la democrazia e lo stato di diritto di Israele.
Non sarà però facile per la Corte suprema pronunciarsi su una questione tanto delicata, che la vede come obiettivo principale di un più ampio disegno politico del governo di Netanyahu che mira a indebolire il potere della magistratura: questo potrebbe portare a un conflitto fra poteri dello Stato, un pericolo per la stabilità del paese e delle sue istituzioni.
Il premier Netanyahu è convinto a proseguire l’iter di approvazione della riforma, nonostante i richiami di molti stati esteri, il calo dell’economia e i sondaggi che registrano una diminuzione vertiginosa della sua popolarità
Le proteste non si fermano
Le proteste, che vanno avanti da settimane, sono diventate sempre più partecipate. Ieri, nella citta di Tel Aviv, migliaia di persone sono scese in strada per manifestare la propria indignazione: ci sono stati quaranta arresti e sette persone sono rimaste ferite.
I giornali di ieri sono usciti con la prima pagina completamente nera e la scritta «Un giorno nero per la democrazia israeliana». Numerose sono le organizzazioni che hanno indetto scioperi in tutto il paese, fra queste l’associazione dei medici e quella dei militari, che hanno minacciato di disertare. Oggi la Federazione generale del lavoro (Histadrut) ha annunciato uno sciopero generale nei prossimi giorni.
Le condanne più dure sono arrivate dai leader del movimento di protesta “Forza Kaplan” che ritiene che il governo voglia trasformare Israele in una «teocrazia ebraica» e ha aggiunto: «La Corte Suprema discuterà l’annullamento della prima legge della dittatura di Benyamin Netanyahu e del ministro della giustizia, Yariv Levin. Ciascuno di noi ha l’obbligo di continuare ad opporsi e quello di difendere col corpo e con lo spirito la Corte Suprema».
Anche Ehud Olmert, primo ministro di Israele dal 2006 al 2009, si è mostrato molto critico sui contenuti della riforma: «Il governo ha deciso di minacciare le fondamenta della democrazia israeliana, si va verso la guerra civile».
Le conseguenze della riforma
La riforma del sistema giudiziario di Israele non ha implicazioni solo nel paese ma anche all’estero. Infatti, numerosi paesi hanno condannato l’operato di Netanyahu o si sono mostrati quantomeno critici. Innanzitutto gli Stati Uniti, che in più di una occasione hanno avvertito Netanyahu della pericolosità di approvare una legge così tanto contestata dalla società civile.
Il presidente degli Stati Uniti, Joe Biden, ha rivolto parole molto dure a Netanyahu la scorsa settimana: «State per rompere qualcosa nella democrazia di Israele e nel rapporto con la democrazia americana e potreste non riaverlo indietro».
Anche il Regno Unito, nella giornata di ieri ha esortato il governo di Israele preservare l’indipendenza della magistratura, che secondo molti viene messa in pericolo dalla riforma. In ultimo, nella giornata di oggi, anche l’Unione europea si è espressa: «L’Unione europea segue da vicino e con preoccupazione gli sviluppi in Israele relativi alla riforma giudiziaria. Le relazioni Ue-Israele si basano su valori condivisi, tra cui la separazione dei poteri e lo Stato di diritto, in cui la magistratura indipendente è un elemento essenziale per garantire effettivi controlli ed equilibri».
Le ripercussioni della riforma del governo guidato da Netanyahu non si fermano qui: infatti, lo shekel è in calo di circa il 10 per cento da quando il governo ha annunciato la sua revisione giudiziaria a gennaio. Le conseguenze riguardano anche la popolarità del premier, che secondo gli ultimi sondaggi diramati dalle agenzie demoscopiche israeliane registra un calo del 50 per cento.
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