Israele sull’orlo dell’abisso: così si intitola un appello diffuso dai professori di storia della Hebrew University di Gerusalemme. La democrazia è sul bordo del baratro, scrivono.

Sono molto legato all’ateneo di Mount Scopus, in particolare al Vidal Sasson Center for the Study of Antisemitism, dove ho svolto molte lezioni e seminari dal 2003 al 2019, incontrando studiosi come Zeev Sternhell, Shlomo Avineri, Moshe Sluhovsky, Manuela Consonni e altri. Intellettuali che hanno sempre saldato la propria ricerca con la strenua difesa dello stato di diritto, la separazione dei poteri, la tutela delle minoranze – a partire dagli arabi di Israele e dei Territori (un terzo degli studenti dell’Università di Gerusalemme è araba). Pochi giorni fa il capo del governo israeliano Benjamin Nethanyahu era in visita ufficiale in Italia, dichiarando propositi bellicosi contro l’Iran al direttore del quotidiano La Repubblica, che fedelmente trascriveva. Nel frattempo centinaia di migliaia di suoi concittadini protestavano in piazza contro misure legislative che, per lo stesso presidente dello stato di Israele Yitzhak Herzog, annunciano «la fine della democrazia» nello stato ebraico. L’abisso intravisto dai docenti di Gerusalemme.

Le leggi sulla giustizia

Si tratta soprattutto delle leggi preparate dal ministro della Giustizia Yariv Levin e dal presidente della commissione Costituzione diritto e giustizia della Knesset (il parlamento di Israele), Simcha Rothman.

Con esse il potere esecutivo intenderebbe indebolire l’autonomia della magistratura e, in particolare, controllare la Corte suprema indipendente, innanzitutto decidendo le modalità di nomina dei giudici.

In tal modo il potere esecutivo potrebbe condizionare i processi (e molti procedimenti penali per corruzione e altri reati incombono proprio su ministri e politici sostenitori del governo, come il primo ministro Nethanyahu, il ministro della Sanità, Aryeh Deri, il ministro del Turismo, Haim Katz e lo stesso capo del partito ultraortodosso Shas). In prospettiva, si arriverà a controllare le commissioni che vigilano sulla correttezza delle elezioni legislative, dunque potenzialmente a manipolarne i risultati. L’ex premier Yair Lapid, un liberale moderato, definisce tale disegno «estremo e irresponsabile», mentre la scienziata politica Gayil Talshir denuncia l’autentico «stravolgimento delle regole della democrazia».

Si legge ancora nell’appello dei professori: «Il governo attuale sta smantellando coscientemente e volutamente le istituzioni dello stato e il risultato potrà essere peggiore che in Polonia e in Ungheria, i cui cittadini almeno sono protetti dalle Corti della Unione europea». La Polonia, come si sa, è da tempo sotto giudizio nell’Unione per violazione dell’articolo 7 del Trattato costitutivo, ma l’Ungheria ha opposto il veto alla condanna degli attacchi del governo nazionalista polacco alla indipendenza dei magistrati. In entrambi i paesi, i media indipendenti sono minacciati.

Ben-Gvir

In Israele, anche l’autonomia della Banca di stato, della educazione pubblica e dell’esercito è in bilico. Questo ultimo punto appare il più gravido di conseguenze tragiche. Il capo dell’ultranazionalista Jewish Power Party, Itamar Ben-Gvir – peraltro più volte incriminato per razzismo e sostegno a gruppi terroristici – è stato nominato ministro della Sicurezza nazionale e i suoi poteri sono stati aumentati sino a consentirgli di intervenire direttamente nelle operazioni di polizia contro i manifestanti.

Il modello di Ben-Gvir è la subordinazione diretta della polizia, come accade per l’esercito, al governo. E quindi nella sua visione i cittadini israeliani in protesta possono essere trattati come «nemici dello Stato», scrive il direttore della Association for Civil Rights in Israel, professor Noah Sattah. Il ministro delle Finanze Bezalel Smotrich (arrestato nel 2005 per terrorismo con alcuni coloni dell’estrema destra sionista) è anche il capo del Religious zionism party, il cui programma è l’annessione diretta della riva sinistra del Giordano (West Bank) e pretende l’esercizio di autorità sulle agenzie che si occupano degli insediamenti israeliani in tale regione.

Così, nelle scorse settimane, centinaia di coloni, protetti dalle truppe, hanno assalito il villaggio palestinese di Huwara (Nablus), uccidendo, ferendo, bruciando e saccheggiando. Etgar Keret, lo scrittore, e il generale dell’esercito Yehuda Fuchs hanno definito l’azione un vero pogrom: pogrom come i massacri di ebrei perpetrati in Polonia, Ucraina e paesi baltici, dall’epoca zarista agli anni dell’occupazione nazista, e persino dopo. Sono intellettuali e uomini pubblici ebrei che ripropongono un termine che può suonare blasfemo o paradossale, ma la differenza dei contesti non cancella l’eco tragica di quella parola.

© Riproduzione riservata