- Per la Cancelliera l’obiettivo principale della missione del 2001, combattere il terrorismo, è stato raggiunto.
- Le opposizioni lamentano il ritardo nella reazione del Governo e le troppe ombre.
- Il dibattito è stato anche un occasione per vedere i leader alla prova prima delle elezioni politiche: ne è uscito rafforzato il capo dei liberali Lindner.
Discussione accesa al Bundestag nella seduta straordinaria convocata per la situazione in Afghanistan e per approvare la decisione del governo di inviare truppe per il ponte aereo di questi giorni. La richiesta del governo è stata approvata con 539 a favore, 9 voti contrari e 90 astenuti.
La seduta è stata aperta dalle parole del presidente Wolfgang Schäuble, che ha ammonito: «Le crisi globali ci colpiscono e mettono in dubbio la fiducia delle persone nelle capacità di intervento della politica nazionale e degli stati».
Ma ha anche ammesso con la chiarezza che gli è solita: «La nostra pretesa di trasformare l’Afghanistan in base alle nostre idee e ai nostri valori si è rivelata fallimentare. Non potevamo vincere questa battaglia». Una chiarezza che è sembrata mancare, invece, alle dichiarazioni di Angela Merkel.
L’intervento della Cancelliera
Il discorso della Cancelliera è stato deludente, per toni e contenuti, in linea con tutte le uscite sulla questione afghana. L’intervento di ieri ha ribadito l’ovvio: le immagini terrificanti che arrivano dall’aeroporto di Kabul, il ringraziamento ai militari, che hanno pagato con 59 caduti l’impegno tedesco nella missione internazionale (tra cui un ex membro della scorta della cancelliera), la necessità di continuare a mettere in salvo gli afghani che hanno collaborato negli anni, un «obbligo morale» come ha detto lo stesso Schäuble. A questo va aggiunto il non trascurabile dettaglio, riportato da Reuters, secondo cui Merkel avrebbe detto che l’evacuazione non sarà possibile senza la protezione degli Stati Uniti.
Ma anche nel riaffermare quello che tanto ovvio forse non è e meriterebbe qualche spiegazione in più: «Abbiamo sottovalutato la capacità delle forze regolari afgane che si sono dissolte dinanzi ai Talebani. Non c’è stata alcuna resistenza alla loro avanzata». Merkel ha detto che è stata sottovalutata la velocità con cui il processo si è compiuto.
Tuttavia, sono ancora troppe le ombre sulla gestione da parte del governo tedesco, soprattutto perché quasi tutte le opposizioni, i liberali della Fdp come la Linke, hanno chiesto risposte sui ritardi del ministero degli Esteri nell’avviare l’evacuazione.
Che la situazione in Afghanistan fosse difficile da tempo lo ha confermato direttamente anche la Cancelliera («eravamo tutti consapevoli che il ritiro delle forze armate avrebbe messo sotto grande pressione governo ed esercito afgani») che ha anche ribadito le cifre ufficiali del governo sui visti eccezionali rilasciati negli ultimi mesi («dalla decisione di ritirare le truppe sono stati rilasciati 2.500 visti per famiglie di quanti hanno collaborato con noi») e ha sottolineato il «dilemma» con cui molti si sono dovuti confrontare: lasciare il paese ai Talebani o continuare il lavoro iniziato. Certamente una situazione non semplice da gestire.
Tuttavia, se è vero che forse non si sarebbe potuto fare poi molto (quello di questi giorni è «un ponte aereo, il più grande tentativo di evacuazione nella storia della Bundeswehr, l’esercito, che sta impegnando quasi 600 soldati» e che avrà fine nei prossimi giorni), restano ancora tante domande sulla reale portata di questa sottovalutazione, sui rapporti tra le intelligence dei vari paesi, sulla capacità dei governi europei di avere un quadro chiaro della situazione e delle forze in campo.
Merkel ha difeso incondizionatamente l’impegno militare degli ultimi venti anni, di cui sedici avvenuti sotto il suo cancellierato, per solidarietà con gli Stati Uniti e per la stessa sicurezza tedesca. Ha perfino detto che l’obiettivo principale del 2001 è stato raggiunto («Non ci sono più stati attentati terroristici dall’Afghanistan») oltre a ribadire alcuni elementi positivi dell’impegno militare (miglioramento delle infrastrutture essenziali, accesso all’acqua e all’energia elettrica per la popolazione, maggiori opportunità di studiare). Quasi per inciso, ha ammesso, però, che ci sono tante domande a cui occorre dare una risposta: «Perché non si è mai arrivati ad un accordo tra le anime della società afgana che desse stabilità al paese? Abbiamo dimenticato le esperienze storiche del passato? Abbiamo sottovalutato la corruzione nel paese e le capacità delle forze militari lealiste afgane?». Ma, in particolare, sui futuri interventi militari all’estero: «Saranno necessari obiettivi realistici».
Le critiche delle opposizioni
Al di là del non detto nelle parole di Merkel, è a questo punto che la Cancelliera è sembrata voler comare il vuoto degli ultimi giorni e offrire qualche considerazione di prospettiva per gli anni a venire, soprattutto ora che non è obbligata dalla campagna elettorale a toni più contenuti.
Ma oltre a una generica conferma del multilateralismo (poco prima aveva detto: «In Afghanistan siamo sempre stati al fianco degli alleati, il paragone con la questione libica nel 2011, nella quale ci siamo astenuti, non ha fondamento») e la necessità di aprire un canale con i Talebani e trattare con loro, neanche stavolta ha usato le vicende in Afghanistan per delineare più chiaramente una nuova politica internazionale.
Tant’è che Annalena Baerbock, candidata alla Cancelleria per i Verdi, di solito pacata, ha sbottato: «Sono sedici anni che conferma l’impegno in Afghanistan e ancora non ha trovato una risposta a queste domande».
Una seduta in cui, oltre ai soliti toni di Alexander Gauland di AfD («Tedeschi hanno perso la vita per una falsa giustizia nel mondo musulmano: quanti sono le ragazze che frequentano oggi la scuola in Afghanistan?» e ha poi ricordato come siano solo 576 persone ad aver collaborato con le forze tedesche: «Solo ad essi e alle loro famiglie dobbiamo garantire asilo e a nessun altro»), si è dato molto da fare Christian Lindner, capo dei liberali della Fdp.
Si è presentato come perfettamente consapevole della delicatezza e dell’urgenza della situazione: «non possiamo accettare che ci siano morti per la burocrazia tedesca» e ha chiesto una politica tedesca e europea sull’Afghanistan («serve una riunione straordinaria del Consiglio»).
Ma ha anche sfruttato l’occasione per accreditarsi come partner di governo, per i conservatori come per i socialdemocratici. A questi ultimi ha ricordato l’inaffidabilità della Linke nella politica estera, provando a essere il vero ago della bilancia per il dopo elezioni: numeri alla mano, potrebbe riuscirci.
Su tutti i relatori ha però giganteggiato Schäuble, confermando che continuerà ad essere una figura centrale della politica tedesca anche nel dopo Merkel: ha ricordato che, in base alla Costituzione, gli interventi militari devono essere approvati dal Bundestag (che lui presiede) precisando che «nella competizione globale tra sistemi si approfitta da tempo della perdita di autorità dell’occidente».
Per la Linke il capogruppo Dietmar Bartsch ha parlato di totale «fallimento della politica afgana della Cancelliera».
Nota finale: assisteva alla seduta dei lavori parlamentari una delegazione della Bundeswehr, che è stata quasi unanimemente applaudita e retoricamente utilizzata, anche da Merkel, per ribadire la bontà dell’impegno tedesco nel ponte aereo di questi giorni. Poco o nulla, solo da parte della Linke, sul totale fallimento militare della missione.
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