“Momento Sputnik”. Così il capo di stato maggiore degli Stati Uniti ha definito il test cinese di un missile “ipersonico” associato a un sistema di bombardamento orbitale frazionato (Fobs), rivelato nei giorni scorsi dal Financial Times.

Il riferimento di Mark Milley era al lancio del primo satellite artificiale che, nel 1957, in piena Guerra fredda, colse di sorpresa gli Usa rivelando che i sovietici erano avanti nella corsa allo spazio.

La storia – secondo lo scoop del quotidiano britannico – si è ripetuta il 27 luglio scorso, quando Pechino ha preso alla sprovvista Washington che, pur sapendo che le forze missilistiche sono il reparto più avanzato dell’Esercito popolare di liberazione (Epl), non avrebbe mai immaginato che potessero sperimentare un’arma così sofisticata, in grado di superare qualsiasi difesa statunitense.

“Ipersonici” sono tutti i missili in grado di volare a velocità comprese tra Mach 5 (6.125,22 km/h) e Mach 10 (12.250,44 km/h). Sono progettati per partire da aerei, navi, rampe mobili e basi di lancio spaziali.

La Cina li ha mostrati al mondo per la prima volta il 1° ottobre 2019 (LXX anniversario della fondazione della Rpc), quando i “Dongfeng-17”, missili ipersonici a medio raggio (con una gittata di 1.800-2.500 chilometri), hanno sfilato in piazza Tiananmen davanti alla leadership del Partito comunista.

Come i missili balistici intercontinentali (Icbm) quelli ipersonici sono capaci di centrare bersagli lontani anche decine di migliaia di chilometri e possono essere armati con testate atomiche.

La grande differenza tra gli ipersonici e gli Icbm è che questi ultimi escono e rientrano nell’atmosfera descrivendo un’ampia parabola ad arco prevedibile dai radar. Al contrario gli ipersonici viaggiano più in basso, all’interno dell’atmosfera e, guidati da remoto, cambiano più volte direzione prima di schiantarsi sull’obiettivo.

Il Financial Times ha rivelato che quello testato dalla Cina è un «veicolo ipersonico planante» (Hgv) lanciato con un razzo “Lunga marcia”, associato a un Fobs: il missile ha viaggiato poco al di sopra dell’atmosfera lungo il polo sud, poi, rientrato nell’atmosfera, l’Hgv (una sorta di mini-shuttle) si è staccato dal razzo ed è stato guidato a zig-zag da remoto verso l’obiettivo (che avrebbe mancato di una trentina di chilometri).

Dall’Hgv cinese sarebbe inoltre partito un altro razzo, per colpire o confondere le difese nemiche. Pechino ha risposto con una smentita generica: si trattava solo di un test con un vecchio velivolo spaziale.

Ma a Washington è scattato l’allarme, seguito di pochi giorni a quello secondo cui la Repubblica popolare cinese porterà dalle attuali 300 a un migliaio lo stock delle sue testate atomiche: Pechino intende abbandonare la sua tradizionale politica di “deterrenza minima”?

Ostacoli tecnologici

Secondo Francesco Vignarca – coordinatore delle campagne delle Rete italiana pace e disarmo – tutti i paesi che li stanno progettando (gli Stati Uniti dall’inizio degli anni Duemila, la Cina dal 2014 e la Russia dal 2016) devono ancora superare enormi ostacoli tecnologici per garantire ai missili ipersonici la manovrabilità e precisione sbandierate.

Tra i tanti: l’attrito nell’atmosfera a velocità Mach5-Mach10 sviluppa temperature elevatissime dalle quali va protetta l’arma e che potrebbero renderla riconoscibile dai sistemi d’intercettazione; mentre la precisione nel centrare l’obiettivo è ancora tutta da dimostrare. Vignarca, un astrofisico, è preoccupato soprattutto dalle iperboli e dall’entusiasmo politico che circolano intorno agli “ipersonici” che, come dimostrano le reazioni alla notizia del Financial Times, «hanno l’effetto di fomentare sospetti e diffidenze tra i paesi coinvolti e accelerare la corsa alla ricerca e sviluppo di questi armamenti».

Il budget del Pentagono per gli “ipersonici” è in costante aumento (2,6 miliardi di dollari nel 2020, 3,2 miliardi quest’anno e 3,8 miliardi per il 2022). Quello dei cinesi invece non è pubblico, ma si sa che a occuparsene è la China Aerospace Science and Technology Corporation, la stessa azienda di stato che partecipa al programma spaziale nazionale.

Lo scoop del quotidiano britannico ha suscitato apprensione a Washington, perché la combinazione di Hgv e Fobs sperimentata dai cinesi sarebbe in grado di bucare qualsiasi difesa degli Stati uniti.

E lo spauracchio del “momento Sputnik” cinese agitato dalla politica alimenta le commesse per i due giganti Lockheed Martin e Raytheon, che non hanno dubbi: quelle ipersoniche sono le armi strategiche del futuro, fattori decisivi che si abbatteranno sul nemico come un fulmine a ciel sereno, mentre gli Stati Uniti sapranno sviluppare efficaci sistemi anti ipersoniche.

Ma un articolo recentemente pubblicato da Scientific American sostiene che le promesse delle compagnie produttrici vanno contro le leggi dell’aerodinamica.

«Aggiornare i trattati»

Archivio Storico Nella foto: Cina

Vignarca preferisce battere sulla necessità di «rafforzare i trattati internazionali, allargare il “New Start”, l’unico accordo (tra Stati uniti e Russia) in vigore sulla riduzione delle armi nucleari, e aprire a misure di trasparenza e confidence building». In effetti uno studio dell’Ufficio degli affari per il disarmo delle Nazioni unite sottolinea proprio questo, che «la ricerca da parte di diversi stati dotati di armi nucleari di nuove opzioni di attacco a lungo raggio ha ricevuto poca attenzione nelle discussioni multilaterali sul disarmo».

Tuttavia – come per le altre grandi questioni che rischiano di travolgerci – anche per questa la ricerca evidenzia quanto sia essenziale il multilateralismo, per il controllo delle armi e il disarmo.

La fine della Guerra fredda e l’11 settembre 2001 indussero George W. Bush a stracciare l’anno successivo il trattato Abm sottoscritto da Nixon e Breznev nel 1972.

Quell’accordo accordo si basava sul lungimirante presupposto secondo cui limitare lo sviluppo di sistemi di difesa anti missile rappresenta «un fattore fondamentale nel frenare la corsa agli armamenti offensivi strategici».

Grazie a quell’intesa sia i sovietici che gli americani non potevano schierare più di un centinaio di missili intercettori per parte: che senso avrebbe avuto sviluppare armi sempre più sofisticate per superare le limitate difese consentite dal trattato? La speranza è che nel momento in cui gli Stati uniti sentono di vivere una nuova Guerra fredda – stavolta contro la Cina – riprendano in considerazione vecchi strumenti frettolosamente abbandonati.

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