La scritta “The End” sullo schermo della sala proiezioni del Centro culturale Ataturk di Istanbul è accolta dallo scrosciare degli applausi degli almeno cento russi seduti sulle poltrone rosse di feltro del cinema. Quando le luci si riaccendono, gli spettatori si alzano, si salutano tra di loro e si dirigono verso l’uscita in piccoli gruppi, parlando fittamente del documentario su Aleksej Navalny, noto oppositore del presidente russo Vladimir Putin, che hanno appena finito di vedere.

Il loro accento e la lingua che usano per comunicare contrasta con quella delle insegne sulla porta che stanno varcando per uscire dalla sala e con quella dei menù che troveranno poco dopo al bar del centro culturale che consente l’accesso al cinema. Per molti di loro, però, questo contrasto non è più così sorprendente.

Molti sono in Turchia ormai da un anno, da quando il conflitto in Ucraina ha stravolto le loro vite – oltre a quelle degli ucraini – costringendoli a prendere la via dell’esilio per sfuggire alla leva obbligatoria, al carcere e a un regime sempre più oppressivo.

La diaspora

«All’inizio molti di quelli arrivati a Istanbul soffrivano di sindrome da stress post traumatico, ma dopo un anno l’angoscia inizia a diminuire. Ci stiamo quasi abituando». A raccontare i sentimenti della diaspora russa di Istanbul è Eva Rapoport, coordinatrice di The Ark, un’associazione che fornisce alloggi temporanei, corsi di lingua, assistenza legale e psicologica e occasioni di socializzazione a chi arriva in Turchia dalla Russia.

Dall’inizio del conflitto sempre più persone hanno lasciato la Federazione per il paese anatolico, uno dei pochi a non aver chiuso i propri confini. Stando ai dati del ministero dell’Interno, aggiornati ad aprile, ben 154.817 cittadini russi hanno ottenuto un permesso di soggiorno, superando di gran lunga tutte le altre nazionalità.

Molti di loro hanno cercato di spostarsi successivamente in Europa o negli Stati Uniti, ma solo in pochi sono riusciti nel loro intento a causa delle sanzioni occidentali. Per la maggior parte della diaspora, dunque, l’unica prospettiva è quella di restare in Turchia e di rifarsi qui una vita in attesa, forse, di un ritorno in una Russia diversa da quella da cui sono fuggiti.

Adattarsi

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Ma adattarsi a un cambiamento tanto drastico non è così semplice. «Mio marito è turco, quindi siamo scappati qui non appena è scoppiata la guerra», racconta Irina, una donna di cinquant’anni che lavorava nel mondo del cinema. «All’inizio è stato molto difficile. Per due mesi sono stata in una specie di coma, usavo anti depressivi per mettere a tacere tutto questo dolore».

Mentre Irina racconta la sua storia la voce le si incrina e deve fermarsi un attimo per prendere fiato. La figlia, seduta al suo fianco, le mette una mano sul braccio e continua a raccontare. «Anche io all’inizio sono stata male, i primi mesi in ero depressa, ma adesso è tutto un più semplice».

Ania però, che ha da poco compiuto 18 anni, non ha intenzione di restare in Turchia. A settembre si trasferirà in Olanda per continuare gli studi. «Prima della guerra non sapevo bene cosa fare. Aver dovuto lasciare la Russia mi ha aperto nuove possibilità».

Una nuova vita

Anche Ylia, un 25enne arrivato nel paese dopo essere passato per la Georgia e l’Armenia, progetta di proseguire gli studi a Parigi. Per il momento ha trovato un impiego a Poltory, una libreria gestita da una ragazza russa, Saniya, e da un signore ucraino che preferisce restare anonimo per motivi di sicurezza.

Sugli scaffali del negozio, illuminati dalla luce che entra prepotente dalla grande vetrata d’ingresso, sono allineati libri scritti unicamente in russo, ma presto dovrebbero arrivare anche i primi volumi in ucraino. La libreria infatti è frequentata anche da una parte della diaspora ucraina, che vede in Poltory un luogo di confronto e di ricostruzioni dei legami tra le due comunità al momento in guerra.

«Quando siamo fuggiti dal nostro paese abbiamo perso anche le piccole cose, come le librerie e le comunità che vivono intorno a questi spazi», spiega Saniya, che ha lasciato il lavoro nel mondo dell’It per aprire Poltory e costruirsi così anche una nuova vita. «Quando è scoppiato il conflitto credevo che avrebbero richiamato anche mio marito. Ero molto preoccupata. Morire in guerra è peggio che morire e basta perché sei costretto a combattere per una causa che non è la tua, ti trasformi in un invasore e un assassino e solo dopo muori».

Seduta sul bordo di una delle grandi poltrone del negozio, Saniya racconta con sguardo tetro la fuga dalla Russia, ma i suoi occhi tornano a brillare quando parla del futuro. «Desidero aprire un posto come Poltory in altre parti d’Europa in cui è difficile trovare volumi in russo e in ucraino», conclude la ragazza.

Un ponte fra culture

Ad aver trovato rifugio nei libri sono stati anche Sasha e Oleg, proprietari di Black Mustache, una libreria dedicata alla moda e all’arte. Anche loro sono fuggiti da San Pietroburgo pochi mesi dopo lo scoppio del conflitto, lui per evitare la leva e lei il carcere a causa del suo attivismo politico.

«Questo posto riflette chi siamo», spiega Sasha mentre con lo sguardo scorre gli scaffali stracolmi di volumi in inglese. «I libri, soprattutto quelli sull’arte e sulla moda, immortalano la bellezza e la preservano. Lo trovo molto terapeutico nel momento in cui la guerra ha distrutto tutto ciò che c’era intorno a noi».

L’arte inoltre permette di costruire un ponte tra diverse culture, agevolando l’integrazione di comunità diverse. «Questa libreria è pensata per tutti e speriamo diventi presto un punto di riferimento nel quartiere», specifica Oleg, che tra una spiegazione e l’altra sorride e scambia battute in russo con la moglie. Diversi turisti intanto si fermano davanti al negozio, attratti dalla grande insegna dorata su sfondo nero, mentre chi già conosce Sasha e Oleg passando fa un cenno di saluto.

I volumi che riempiono le pareti di Black Mustache però hanno anche una valenza politica. Su un tavolino sono allineate alcune riviste indipendenti prodotte in Russia e che Sasha e Oleg hanno deciso di portare a Istanbul per contribuire a loro modo al miglioramento delle condizioni di vita nel loro paese di origine, anche se un ritorno in patria non è nei loro piani.

Un futuro incerto

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Restare in Turchia però è diventato più complicato. A partire da dicembre, spiega la coordinatrice di The Ark, sempre più domande di rinnovo del permesso di soggiorno sono state rifiutate senza una motivazione precisa.

Con molta probabilità dietro a questo inasprimento della burocrazia ci sono manovre politiche del partito di governo, interessato a ridurre il numero di stranieri presenti in Turchia in vista delle elezioni. La comunità russa inoltre è accusata di aver fatto salire il prezzo degli affitti, una narrazione utile a nascondere le responsabilità del presidente Recep Tayyip Erdogan rispetto all’aumento del costo della vita e dell’inflazione.

Per la diaspora russa, quindi, il futuro si prospetta incerto. Il partito di governo non è l’unico a cavalcare il sentimento xenofobo di una parte crescente dell’elettorato e in caso di vittoria dell’opposizione ci si attende un cambio di passo nei confronti della Russia che potrebbe danneggiare anche chi fugge dalla Federazione e dal suo presidente. Nonostante i timori per il domani, la diaspora russa sta cercando di ricostruirsi una vita in Turchia e di creare nuove reti di amicizia e di solidarietà per far fronte alle difficoltà giornaliere.

In alcuni momenti basta loro un libro o un concerto di una band ucraina dissidente in un normale giovedì sera nella libreria Poltory, trasformata all’improvviso in un palco e addobbata per l’occasione con piccole luci gialle, per dissipare le ombre che gravano sul domani. Almeno fino all’arrivo della prossima tempesta.

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