Per trent’anni ci siamo illusi che la guerra fosse estinta. Oggi scoprire che è rimasta una possibilità ineliminabile del nostro futuro ci costringe a rivoluzionare il nostro pensiero
Sempre più europei sembrano affrontare il presente in modo non troppo dissimile da come i nostri nonni vissero l’estate del 1939. Gli interrogativi delle settimane precedenti l’invasione nazista della Polonia sono riflessi nei media e nelle menti di oggi: Putin si accontenterà di invadere solo parte dell’Ucraina? Il conflitto in Medio Oriente finirà per allargarsi? La Cina sta per attaccare Taiwan?
Per molti non è necessario attendere alcun’altra conferma: siamo già in guerra, si tratta solo di aspettare che il fronte avanzi fino a noi.
Una discrepanza rivelatrice
Forse è meglio fermarsi un istante, prendere fiato e provare ad essere obiettivi: i pericoli sono concreti, ma è improbabile che vedremo i tank russi marciare su Berlino o Parigi domani mattina. Tuttavia, è proprio questa profonda discrepanza tra realtà e percezione a rivelare in maniera evidente quanto, nel giro di pochi anni, sia cambiato il volto del nostro pianeta.
Ormai lo sappiamo: sgretolatasi l’Unione Sovietica, l’Europa si è assopita, cullata dalla certezza di una pace che sembrava perenne.
La fine della storia ci aveva consegnato un mondo unipolare con una sola superpotenza e una stabilità inedita per l’umanità. In assenza di minacce, sforzi e attenzione potevano così spostarsi dalla gravosa politica internazionale — strumento fino ad allora essenziale per garantirci la sopravvivenza — alla più redditizia economia globale.
I piccoli conflitti locali non minacciavano l’aspirazione massima di questo nuovo ordine: la prosperità. Anzi, questa sembrava destinata ad un incremento infinito, sospinto dalle nuove prospettive di cooperazione mondiale.
Con il risvegliarsi di vecchie e nuove superpotenze, siamo oggi destinati a vivere in un mondo multipolare, persino più precario di quello iscritto nelle vecchie logiche della Guerra Fredda. E ci siamo bruscamente ricordati che la loro politica è per sua natura una “politica di potenza”, in cui ciascun attore è costretto a concorrere contro gli altri a garanzia della propria sicurezza.
La politica internazionale è tornata così ad essere il campo di confronto determinante. Una gara sempre più competitiva, in cui le architetture del diritto internazionale vacillano pericolosamente di fronte alla rivoluzione anarchica dei blocchi geopolitici contemporanei.
A guardar bene, ad infrangersi è stata anzitutto una doppia illusione: non solo per 30 anni abbiamo creduto nella “morte della guerra”, ma anche che il merito della sua dipartita fosse da individuare nel trionfo del diritto, dell’economia e dell’etica, riconosciuti come i tratti fondanti e vincolanti dell’ordine internazionale.
Ispirare la pace
Ora scopriamo che non erano così determinanti: il mondo non era in pace perché eravamo in grado di vietare i duelli; lo era perché, in quel “far west”, uno solo possedeva la pistola. Adesso che tutti sono impegnati ad armarsi, chi è a mani nude deve correre ai ripari.
I primi spari ci hanno ricordato che, anche se non immediato, un conflitto che ci travolga direttamente non si può più escludere.
È stato sufficiente tornare a considerare questa come una possibilità per determinare un cambio di prospettiva radicale, una rivoluzione copernicana del nostro pensiero civile: dall’essere definitivamente epurata, la guerra è di nuovo elemento ineliminabile nelle nostre società.
A generare il sentimento d’angoscia che oggi si manifesta in forme sempre più pervasive non è allora la paura che le bombe ci sorprendano stanotte, ma il fatto che lo spettro di cui avevamo persa memoria sia riapparso nelle nostre menti, più sinistro che mai.
Ancora una volta è compito della politica spiegare ai cittadini che la possibilità della guerra non significa né la sua certezza né la negazione totale della sua esistenza, ma che si tratta di una variabile rilevante nell’equazione di progettazione del futuro.
Non è una sfida semplice: ci sono generazioni intere che, per loro fortuna, non hanno mai dovuto occuparsi di basi missilistiche e rifugi antiatomici, mentre chi viene al mondo in quest’epoca dovrà, suo malgrado, fare i conti con questa gravosa spada di Damocle. Non è detto che si riveli un male: la storia ci ricorda che crescere consapevoli dell’esistenza della guerra è un modo efficace per ispirare la pace.
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