Attentati, rapimenti e violenze sono all’ordine del giorno. I leader internazionali arrivano in un paese dilaniato dalle lotte intestine e in completa anarchia
«Signora Presidente, con un profondo senso di delusione, è sconfortante vedere individui in posizioni di potere mettere i propri interessi personali al di sopra delle esigenze del proprio paese». Sono passati tre mesi esatti dallo scorso 16 aprile quando Abdoulaye Bathily, inviato speciale dell’Onu in Libia, ha salutato così il Consiglio di sicurezza annunciando la fine del suo incarico da quando si è insediato nel paese nord africano nell’agosto del 2022. A tre mesi di distanza, decine di leader internazionali tra cui la premier Giorgia Meloni sono in Libia per discutere di migranti nell’ambito del Forum Trans-Mediterraneo voluto dal governo libico.
Bathily aveva l’obiettivo di mediare tra gli attori politici che detengono il potere tra la parte est ed ovest del paese, e arrivare a un compromesso per nuove elezioni nazionali. Non ci è riuscito. «Nonostante il continuo e ampio coinvolgimento dei principali attori istituzionali, le loro posizioni persistenti ostacolano in modo significativo gli sforzi volti a far progredire il processo politico», aveva detto al Consiglio di sicurezza.
Anarchia controllata
In Libia si muovono milizie locali e potenze straniere, ma i centri di potere dal 2014 sono sempre due: a Tripoli c’è il governo di Abdel Hamid Debibeh, riconosciuto dalla comunità internazionale anche se il suo mandato politico è scaduto da tempo. Nella Cirenaica, invece, il territorio è sotto il controllo del generale Khalifa Haftar con cui Meloni continua a dialogare come testimoniato dalla sua ultima visita nel paese dello scorso 7 maggio.
Nel mezzo ci sono decine di gruppi armati in cerca dei propri affari (dai migranti al petrolio) che tengono in scacco il paese con la violenza come testimoniato dallo stesso Bathily: «Sono profondamente preoccupato per l’aumento di rapimenti, sparizioni e arresti arbitrari in Libia, perpetrati dalle forze di sicurezza con impunità nelle regioni orientali, meridionali e occidentali, che minano le libertà fondamentali e instillano paura». Gli ultimi fatti di cronaca gli danno ragione. Il 16 luglio un gruppo armato ha rapito Hussein Lamouchi, un alto funzionario del ministero dell’Economia del governo di unità nazionale ad interim di Dbeibeh.
Qualche giorno prima, il 3 luglio, è stato sventato un attentato nei confronti di Abdel Majeed Maligta, consigliere fidato del premier, per il quale sono indagati 13 funzionari dei servizi segreti. Attentati, rapimenti ed episodi simili sono all’ordine del giorno. «In Libia paradossalmente c’è uno stato di anarchia controllata. I due principali attori politici sono screditati dall'opinione pubblica locale ma continuano a portare avanti i loro giochi di potere e ogni critica viene negata», spiega Giuseppe Dentice responsabile desk Africa e Medio Oriente per il Centro studi internazionali. Basta pensare che l’11 luglio a Tripoli è stato arrestato Ahmed Senussi, noto giornalista critico con il governo. Senza contare la violenza della guardia costiera libica, denunciata ieri dalla ong Mediterranea Saving Humans per l’attacco subito dall’equipaggio della Mare Jonio lo scorso 4 aprile.
Il forum per i migranti
In questo scenario di caos e violenza decine di leader internazionali sono in Libia per il Forum Trans-Mediterraneo sulle migrazioni. Una kermesse che ha un unico obiettivo: fermare i flussi migratori in partenza per le coste europee, arginare l’arrivo in Libia di migranti provenienti dai confini a sud e rimpatriare parte dei due milioni di “irregolari” presenti nel paese. Il governo di Tripoli batte cassa e chiede aiuti economici.
La priorità è «combattere il traffico di essere umani, una delle maggiori criminalità nel mondo secondo le Nazioni unite, si tratta di trafficanti che fanno soldi usando la disperazione della gente senza garantire loro il rispetto dei diritti umani: questo noi non possiamo permetterlo», ha detto Meloni dal palcoscenico in Libia. «Bisogna andare all'origine del problema: consentire alle persone di fruire del diritto di non emigrare. E questo richiede una grande cooperazione, il modo migliore non è l'approccio caritatevole o predatorio, ma peer-to- peer», ha aggiunto.
Il Forum poteva essere l’occasione per far ripartire il dialogo politico nel paese, ma i leader europei hanno altre priorità.
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