- Non solo il gas metano, la guerra di Vladimir Putin riguarda anche i “gas nobili”. Le materie prime sono “il tesoro” dell’Ucraina ogni giorno più a rischio, e tra queste il neon, un gas che viene utilizzato per i laser che “scrivono” sui wafer di silicio e da cui vengono prodotti i microprocessori.
- Il Covid-19 se da una parte ha ridotto la produzione e l’esportazione di neon (così come accaduto a molte materie prime), dall’altra ha portato a un incremento del suo utilizzo per cellulari, tablet e auto più green.
- L’Unione eurpea aveva varato il Chips Act per aumentare la produzione interna, ma la filiera dell’auto ha già lanciato l’allarme, anche perché due delle maggiori produttrici di neon si trovano a Mariupol e Odessa e hanno smesso di esportare.
Non solo il gas metano, la guerra di Vladimir Putin riguarda anche i “gas nobili”. Le materie prime sono il vero tesoro dell’Ucraina ogni giorno più a rischio, e tra queste il neon, un gas che viene utilizzato per i laser che “scrivono” sui wafer di silicio e da cui vengono prodotti i microprocessori utilizzati in moltissimi settori, dalla telefonia all’auto.
Il neon è un sottoprodotto della lavorazione dell’acciaio e quasi la metà del neon mondiale per semiconduttori viene dalla Russia e dall’Ucraina.
Mariupol e Odessa
Il consumo globale di neon per la produzione di chip ha raggiunto circa 540 tonnellate l'anno scorso, stima la società di ricerche di mercato Techcet. Al centro di una possibile crisi due delle città che vengono ricordate per gli attacchi militari dell’esercito di Mosca: Mariupol e Odessa. Secondo l’agenzia Reuters, i due principali fornitori ucraini di neon producono da soli circa la metà della fornitura mondiale dell'ingrediente chiave per la produzione di chip e hanno interrotto le loro attività da quando Mosca ha intensificato i suoi assalti.
Dal 45 per cento al 54 per cento circa del neon mondiale infatti proviene da due società ucraine, Ingas e Cryoin. La Ingas, si legge sul sito della società, ha la sede principale nella città di Mariupol dove da settimane continua l’assedio all’acciaieria Azovstal.
La Cryoin invece è di Odessa, la città portuale su cui sono piombati i missili ipersonici di Putin. Una situazione che minaccia a un tempo di aggravare la carenza di semiconduttori e di far salire i prezzi, così come sta accadendo per il metano.
Il consumo
Non bisogna dimenticare che prima della guerra c’è stato il Covid-19. Se da una parte la pandemia ha ridotto la produzione e l’esportazione di neon (così come accaduto a molte materie prime), dall’altra ha portato a un incremento del suo utilizzo.
Con uno stile di vita sempre più interconnesso, è aumentata la domanda di telefoni cellulari, computer e tablet, mentre con la ripresa si è registrato a livello globale un aumento dell’acquisto di auto di ultima generazione.
Mentre le stime variano ampiamente sulla quantità di neon che i produttori di chip hanno in riserva, ha spiegato a Reuters Angelo Zino, analista di Cfra, la produzione potrebbe subire un ulteriore e più duro colpo se il conflitto andrà ancora avanti, e i produttori di chip più piccoli saranno i primi a risentirne.
Prima dell'invasione, Ingas produceva dai 15mila ai 20mila metri cubi di neon al mese per i clienti di Taiwan, Corea, Cina, Stati Uniti e Germania, di cui circa il 75 per cento destinato all'industria dei chip.
Cryoin produceva da 10mila a 15mila metri cubi di neon al mese, ma ha interrotto le operazioni il 24 febbraio, il giorno dell’invasione per proteggere i suoi dipendenti, ha spiegato la direttrice dello sviluppo aziendale Larissa Bondarenko.
Il neon viene prodotto anche in Cina, ma i prezzi sono in costante aumento. Da dicembre si è registrato un aumento del 500 per cento. Una dinamica che ha ricalcato quella che ha preceduto l’invasione della Crimea nel 2014. Le aziende potrebbero avviare la produzione di neon altrove, ma ci vorrebbero dai nove mesi ai due anni, e gli investimenti stentano a partire perché non è chiaro quanto durerà la crisi attuale.
Il mercato degli smartphone è in affanno. Secondo i più recenti dati di Canalys, società internazionale di consulenza nel settore della telefonia, nel primo trimestre del 2022 le spedizioni sono calate a livello globale tra il 9 per cento e l'11 per cento a causa della coda lunga della pandemia ma anche per il perseguirsi della crisi dei semiconduttori e dell'instabilità data dalla guerra in Ucraina. Stando agli analisti, è proprio l'Europa dell'Est la zona dove il calo è maggiore, con una flessione in grado di raggiungere anche il 20 perc ento rispetto allo stesso periodo del 2021. L'Europa centrale, nel cui computo è inserita anche l'Italia, tiene meglio.
Il Chips Act
La transizione ecologica rischia di diventare un obiettivo ancora più complesso. La Commissione europea ha deciso che i paesi dell’Unione dovranno raggiungere 30 milioni di veicoli a zero-emissioni in circolazione entro il 2030. La società di consulenza Deloitte a fine aprile ha evidenziato come la transizione verso la mobilità green però soffra di una forte dipendenza dell'industria europea da alluminio, palladio e neon, materiali provenienti proprio da Russia e Ucraina. Giorgio Barbieri, senior partner di Deloitte, ha segnalato che adesso «non è una questione di “quando” bensì di “come” raggiungere questi obiettivi».
A inizio febbraio, prima dell’invasione, la Commissione ha varato il Chips Act, provvedimento che prevede 15 miliardi di investimenti pubblici e privati entro il 2030 che si aggiungono agli oltre 30 miliardi già stanziati dall'Ue per spingere la sua produzione di semiconduttori, passando dal 10 per cento della quota di mercato mondiale di oggi al 20 per cento tra otto anni.
A livello nazionale il governo italiano ha stanziato oltre 4 miliardi per sviluppare l'industria e la ricerca sui semiconduttori e sulle tecnologie innovative. Ma la guerra ha peggiorato lo scenario.
Il presidente dell’Associazione nazionale filiera industria automobilistica (Anfia), Paolo Scudieri (associazione di cui fa parte Stellantis) già a febbraio ha lanciato l’allarme sullo stop alla produzione del gas neon sul territorio ucraino: «Non si può non tenere conto di questo tipo di turbolenze geopolitiche nell'analisi dei rischi sulla filiera dell'auto ed è chiara la necessità di elaborare strategie di medio - termine - come ragionare su filiere più corte» o pensare di «internalizzare la produzione» localizzandola in Unione europea, paesi Efta (Islanda, Liechtenstein, Norvegia Svizzera) e Regno Unito.
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