La retorica statunitense immagina e sogna lo “scudo” anti-missile dai tempi della Guerra fredda e dell'Unione sovietica. Il 23 marzo 1983, l’allora presidente Usa Ronald Reagan, aveva concluso un discorso televisivo dalla Casa Bianca con una domanda: «Cosa accadrebbe se le persone libere potessero vivere sicure, sapendo che la loro sicurezza non dipende dalla minaccia di una rappresaglia immediata degli Stati Uniti per scoraggiare un attacco sovietico, ma dal fatto che potremmo intercettare e distruggere i missili balistici strategici prima che raggiungano il nostro territorio o quello dei nostri alleati?» 

Quarantuno anni dopo il tema rimane quello, a Mosca non sventola più la bandiera dell'Unione sovietica ma quella della Russia e cambia lo scenario, con la guerra in Ucraina che ha reso necessaria l'accelerazione di un progetto che va avanti da più di venti anni. E che negli ultimi giorni ha visto finalmente il taglio del nastro, dopo anni di promesse e annunci.

Gli Stati Uniti hanno difatti appena reso pienamente operativa una base missilistica in Polonia, a 250 chilometri dalla exclave russa di Kaliningrad. La base di Redzikowo è pensata per «rilevare, tracciare e intercettare i missili balistici in volo», si legge sul sito della Nato. Ed è di fatto la prima installazione permanente statunitense sul territorio polacco.

Un progetto che ha visto firme e strette di mano di quattro presidenti statunitensi diversi, da George W. Bush a Joe Biden, in mezzo le amministrazioni di Barack Obama e il primo mandato di Donald Trump. La Nato lo ha definito un momento che «segna un passo fondamentale nel rafforzamento delle capacità di difesa missilistica dell'Alleanza».

Malumori russi

Il progetto di difesa prevede un sistema interconnesso tra due basi missilistiche Aegis Shore, una a Redzikowo e l'altra a Deveselu in Romania – operativa già dal 2016 – che si interfacciano con una base radar a Kurecik in Turchia e con navi da guerra della marina militare Usa attraccate al porto di Rota in Spagna.

«È parte di un progetto di lunga data degli Stati Uniti, avviato durante l'amministrazione di George W. Bush e successivamente sviluppato da Obama, per integrare il sistema nazionale di difesa missilistica con uno a copertura della Nato», racconta in un'intervista a Domani Marc Finaud, ex diplomatico francese e oggi associate fellow al Geneva Centre for Security Policy.

«Questo sistema, chiamato “European Phased Adaptive Approach” (EPAA), è progettato per proteggere l'Europa da missili a corto raggio (meno di 1.000 km) e a raggio intermedio (fino a 5.500 km), inizialmente provenienti dall'Iran», spiega Finaud, che nei suoi 36 anni di carriera da diplomatico ha ricoperto incarichi anche in Unione sovietica e poi in Polonia.

Il sistema da sempre non piace alla Russia, Redzikowo è sotto stretta osservazione da vent'anni. Già nel 2007 veniva definita «una minaccia reale» da un alto comandante militare russo. Commenti che sono arrivati anche negli ultimi giorni. Il 21 novembre una nota dell'agenzia russa TASS ha riferito che la portavoce del Cremlino, Maria Zakharova, ha parlato della base come uno «degli obiettivi prioritari per una potenziale neutralizzazione». Aggiungendo come «se necessario, ciò può essere realizzato utilizzando una vasta gamma di armamenti avanzati».

Il fianco orientale

A Redzikowo il taglio del nastro con foto di rito si è tenuto il 13 novembre, una settimana dopo la Russia ha utilizzato per la prima volta un nuovo tipo di missile balistico intercontinentale sulla città di Dnipro.

«L'inaugurazione della base in Polonia, che era stata ritardata, coincide con una nuova fase di tensioni con la Russia a causa della sua guerra contro l'Ucraina», spiega Finaud. «Tuttavia ciò non dovrebbe sorprendere la Russia, che si è opposta a questo sistema fin dall'inizio, sostenendo che i missili difensivi potrebbero essere utilizzati anche in modo offensivo».

E inquadra la questione tornando indietro di 15 anni, quando «la Russia ha respinto le offerte di Obama di essere associata a tale sistema». Il riferimento è al 2010, quando al summit Nato di Lisbona partecipò in una sessione separata anche la Russia di Dmitry Medvedev, e si cercò di includere Mosca nel progetto – con sistemi di difesa separati –  in chiave anti-Iran. Un anno prima Obama aveva tentato un accordo con la Russia, sempre inquadrando Teheran – e non Mosca – come minaccia da contenere.

Oggi missili e droni – tra cui gli Shahed di fabbricazione proprio iraniana – arrivano tutti i giorni dalla Russia sull'Ucraina, ai confini Nato. L'episodio dell'utilizzo del missile balistico Oreshnik ha innalzato il livello di allerta del conflitto – e di attenzione sul conflitto – a Kiev e anche al di là dei suoi confini. L'Ucraina ne condivide 500 chilometri proprio con la Polonia, di fatto la principale porta per l'Europa per chi entra e esce dal paese in guerra da 1.000 giorni a questa parte.

Il fianco orientale Varsavia lo condivide per altri 400 chilometri con la Bielorussia di Lukashenko, l'alleato più fedele di Vladimir Putin (con cui Mosca, venerdì 6 dicembre, ha siglato un nuovo «trattato di sicurezza» ndr). E poi c'è Kaliningrad, exclave russa sul Mar Baltico di 15.000 metri quadri – la metà del Belgio – dove la Russia ha basi, navi, aeroporti militari, soldati e missili balistici come gli Iskander-M com gittata da 500 chilometri. Numeri e scenari che spiegano perché a Varsavia – più che a Washington – credono più nella deterrenza dei missili che nella diplomazia dei meme e degli slogan.

Missili o diplomazia?

«Nessuno fermerà Putin con le telefonate», ha scritto il premier polacco Donald Tusk commentando l'attacco russo sull'Ucraina con 120 missili e 90 droni nella notte tra il 16 e il 17 novembre scorso. «L'attacco della scorsa notte è la prova che la diplomazia telefonica non può rimpiazzare il supporto reale dell'intero Occidente per l'Ucraina», ha scritto. E anche del perché, per gli Stati Uniti e la Nato, la Polonia è sempre più decisiva. In Polonia ci sono già dispiegate brigate, comandi, task force statunitensi da anni e in diversi contesti e programmi Nato.

La presenza è poi aumentata con l'invasione russa dell'Ucraina – ad esempio con la decisione del febbraio 2022 di trasferire nel sud del paese soldati della 82esima divisione aviotrasportata – e al momento «un totale di circa 10.000 truppe delle forze armate Usa sono dispiegate in Polonia», si legge sul sito del governo polacco. Dove la base di Redzikowo viene associata a «benefici strategici e difensivi tangibili» per la Polonia e soprattutto «un elemento importante della presenza militare degli Stati Uniti e degli alleati» nel paese.

In questa chiave l'inaugurazione è, secondo l'ex diplomatico Finaud, una «coincidenza» che avviene «in un momento in cui la Russia sta testando nuovi missili contro l'Ucraina per scoraggiare il sostegno occidentale». L'ex diplomatico precisa come «dal punto di vista strategico, potrebbe essere percepito come una risposta potenziale della Nato per proteggere i propri membri da attacchi russi».

Possibili scenari

Più complessa la questione su cosa succederà adesso. In Ucraina il sistema Aegis è subito tema di dibattito, l'agenzia Ukrinform ha riferito che le forze armate di Kiev faranno richiesta agli Stati Uniti di sistemi di difesa nuovi, tra cui appunto la tecnologia utilizzata a Redzikowo.

Su United24 – la maratona di news governativa in Ucraina – si legge come la «prossimità della Polonia all'Ucraina permetterebbe una potenziale cooperazione nella condivisione delle allerte» e quindi gli Aegis che operano dalla Polonia potrebbero migliorare la capacità di risposta alle minacce, anche quelle con nuovi armamenti. Secondo Finaud «l'Ucraina trarrà certamente beneficio da questo sistema difensivo come parte del sostegno della Nato» ma precisa come «data l'asimmetria rispetto agli arsenali di missili e droni della Russia, non è chiaro se ciò garantirà una protezione efficace del territorio ucraino».

Ed è difficile prevedere in anticipo quale sarà la risposta della Russia. «Potrebbe includere l'aggiunta di nuovi missili a quelli già presenti in Bielorussia o a Kaliningrad», sostiene nella sua intervista l'analista del think tank svizzero. Precisa come al momento, i missili russi dispiegati ai confini polacchi «sono capaci di trasportare testate nucleari ma attualmente non sono equipaggiati da testate nucleari». Se arrivano nuovi ordini da Putin, si apre una nuova fase. «Questo contribuirebbe certamente a una escalation delle tensioni».

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