Una delle caratteristiche della guerra è di ingoiare tutto e di paralizzare il pensiero, lasciando solo l’unica prospettiva della lotta all’ultimo sangue, cioè della guerra infinita. Per chi considera la guerra il male assoluto, distruttore di futuro oltre che di vita, essa appare per quello che è: un ingranaggio mostruoso che si autoalimenta e tende a eternizzarsi.

Qui ci sovviene il “jamais plus la guerre!” di san Paolo VI all’ONU: appunto un “jamais”, mai più. Non ci possono essere deroghe o eccezioni a questo: la guerra è il male ed è sempre peggio di ogni altra soluzione, soprattutto quando non si cerca di fermarla. Se ci si contrappone per astio si dimentica che lo statuto di “città aperta” non significa arrendersi all’occupante ma precisamente l’opposto: città ove non si combatte.

Basterebbe conoscere un po’ di storia. Questo poteva valere per Aleppo come per Kiev, città santa per l’ortodossia slava. Ho sempre scritto che l’Ucraina ha fatto bene a difendersi e l’Occidente ad aiutarla. Il problema nasce con la narrazione della vittoria e della punizione della Russia, cioè della guerra senza limiti, ad oltranza e senza nessuna soluzione politica.

L’Ucraina sta già pagando un alto prezzo e ne pagherebbe uno ancor più alto. Chi guarda alla guerra da lontano, vada a vedere i poveri ospedali ucraini pieni di mutilati senza cure né protesi: fino a quando? Rifletta sul fatto che gli europei si stano stancando di accogliere e di donare. I polacchi addirittura non permettono più all’Ucraina di vendere il suo grano in Europa.

Tante domande

In Occidente non ci autoflagelliamo per niente ma badiamo al nostro interesse. Si tratta di un’abitudine stolida che ci ha fatti finire in un cul de sac politico, senza soluzioni, né visioni di futuro. Chi parla di pace guarda al domani e pone domande vere che andrebbero prese sul serio: cosa ne sarà della pace europea? Come ricostruire un’architettura di sicurezza comune? Come convivere con la Russia domani?

Illusorio pensare che la Russia sparisca dalla carta geografica, o che un altro dirigente cambi le cose, che si possa imporre dall’esterno un ennesimo regime change o che spezzando la Russia in tanti staterelli si otterrebbero buoni risultati. Avremmo solo più signori della guerra o, peggio, il conflitto nucleare. Si pensi a cosa è successo in Libia, in Siria o in Iraq e all’odio ingenerato. È da arroganti pensare di scegliere come deve essere il tuo vicino: la realtà è più forte. Ci domandiamo: esiste un’altra strada oltre il combattere ad oltranza?

È una domanda importante, da farsi fuor di polemica. Chi la pone non desidera certo la resa dell’Ucraina ma è sempre accusato di volerla da chi evita la vera domanda. C’è stata un’iniziativa di pace? Per ora no, a parte quella cinese subito rifiutata senza nemmeno discuterla. Non andava bene? Se ne proponga una diversa, che veda oltre il conflitto ad oltranza.

In verità la differenza tra chi parla di pace e chi si oppone a tale discorso è tutta qui: c’è chi cerca una strada alternativa anche se difficile, e chi si adatta assuefatto allo scontro ad oltranza. Per ora Stati Uniti ed Europa non hanno proposto nessun piano negoziale se non dire alla Russia di ritirarsi: ma questo non è un piano di pace che è sempre un compromesso. Tale compromesso sembra ingiusto? Certamente, se lo si guarda dalla prospettiva del dover rinunciare a qualcosa da entrambe le parti.

La visione della chiesa

Ma dalla prospettiva della vita non lo è mai. La prospettiva della chiesa è quella di Benedetto XV: la guerra è sempre una “inutile strage”. È una profezia. Sappiamo che ciò può essere difficile da comprendere per tutti, anche per i cattolici. Tuttavia la preservazione della vita è più importante delle ragioni sia dell’uno che dell’altro.

Non si propone nessuna resa: si vuole solo che i due protagonisti si parlino. Lo faranno comunque, prima o poi: quindi meglio subito. Le critiche alla posizione maturata dalla chiesa nell’ultimo secolo sono note: anche papa Benedetto XV fu criticato da chi benediva –da entrambe le parti- le bandiere di guerra in nome della “giusta ragione”.

La vera resa è di chi si arrende allo spirito bellicistico e non vede nessun’altra alternativa: è la resa allo spirito del tempo, fatto di guerra e delle “proprie ragioni”. Chi invece indica l’obiettivo della pace va oltre le proprie ed altrui ragioni, e resiste: è questa la  vera resistenza allo spirito del male e del tempo che acceca l’intelligenza e svuota le coscienze. Per chi non è in malafede, usciamo dall’equivoco: volere la pace non significa arrendersi ma ricercare di una strada alternativa anche mentre si combatte.

La delusione è non aver visto nessuno sforzo in questo senso, mentre se ne fanno molti sul terreno militare. Ciò che si vorrebbe è almeno altrettanta energia nella ricerca di soluzioni durature e pacifiche per costruire il domani. Non è vero che ciò non dipende assolutamente dalla nostra volontà: dipende anche da noi, eccome. E ancor più se pensiamo che dalla parte di Mosca hanno un po’ perso la testa.

È nostro dovere non deresponsabilizzarci: troppo comodo dire che dipende tutto dagli altri. Quando mai lo abbiamo accettato in altri contesti? Quando la guerra è esplosa con l’aggressione russa all’Ucraina, siamo stati tutti presi dallo sconcerto. C’erano due possibili reazioni: schierarsi o preoccuparsi per la pace perduta e far di tutto per ritrovarla. Entrambe le posizioni sono rispettabili ma la seconda è più lungimirante.

La guerra non può essere mai accettata come un stato normale né come un evento naturale che ogni tanto capita. L’unico atteggiamento valido di fronte alla guerra sta nel termine usato nella nostra Costituzione: ripudio. Ripudio significa non accettare nemmeno per un istante che quello della guerra sia un destino segnato o obbligato o che non dipenda da noi.

Per chi è nato dopo la seconda guerra mondiale c’è una responsabilità maggiore: il mondo tragico in cui sono vissuti i nostri padri e i nostri nonni non deve tornare mai più. Di conseguenza non ci si può in alcun modo assuefare alla guerra, non la si può mai accettare, qualunque ne sia la ragione. E’ uno strumento maligno che porta lontano dagli obiettivi che inizialmente -magari a buon diritto- si invocano.

Chi colpisce la guerra

Nella guerra nessuno rimane innocente, tutti vengono travolti. La risposta della guerra ad oltranza è manichea, ambigua, vecchia e troppo facile. È simile alla risposta del nazionalismo: malattia grave che ha fatto sprofondare l’Europa nel gorgo di due guerre mondiali. Per questo papa Francesco se ne preoccupa grandemente, si strugge.

Ammetto di essere rimasto scandalizzato dall’aver visto come tanti si siano lasciati trascinare dalla logica bellica, smettendo addirittura di ragionare e iniziando ad accusare gli altri con un metodo simile al maccartismo. Dobbiamo invece riflettere molto assieme per trovare le migliori soluzioni diplomatiche e politiche, consapevoli che si tratta di un’opera difficile ma non impossibile.

Non ci si può limitare a dire: non ci sono le condizioni. Vanno create. Il cardinal Matteo Zuppi, inviato dal papa, con il suo stile mite e risoluto sta plasmando un clima nuovo, mediante il quale, oltre a rispondere alle urgenze umanitarie, si può sperare di aprire canali per il necessario dialogo futuro. Se ne avverte l’estrema urgenza.

Infine per quanto riguarda il Global South mi limito ad invitare a leggere -e meditare- l’editoriale di Dario Fabbri nell’ultimo numero di Domino, che inizia così: “La maggioranza dell’umanità è contro di noi. Noi Occidente, schierati in difesa dell’Ucraina, certi di essere nel giusto. Pure se non lo percepiamo o non vi badiamo. Rimozione utile a schivare lo choc (…) Vanitosi, ne misconosciamo la consapevolezza incolpando l’oscurantismo dei regimi autoctoni, cantando l’impraticabile discrimine tra democrazia e autocrazie. Ignari di come gli essere umani sovente esprimano la propria volontà in contesti liberticidi. Chiusi nella cameretta, non indaghiamo le ragioni di tale alterità, diventata fibra della missione imperiale cinese, brodo di coltura per l’ultima Russia”. Seguirei il consiglio: uscire dalla cameretta.

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