- Una nicchia sempre più rara è quella dei giornalisti eclettici, che si occupano di un po’ di tutto, senza però perdere in competenza e finezza di analisi.
- Sasha Issenberg è senza dubbio uno di questi. A partire dalla globalizzazione vista attraverso il sushi, passando per il turismo medico dei cittadini americani nel mondo, fino alla scienza delle campagne elettorali.
- Il giornalista veterano di quattro campagne presidenziali racconta cosa ci aspetta in queste elezioni di midterm: Joe Biden accetta di essere messo da parte per il bene del partito, mentre Donald Trump attacca chi osa contraddirlo, anche quando questo può costare la sconfitta al singolo candidato.
Una nicchia sempre più rara è quella dei giornalisti eclettici, che si occupano di un po’ di tutto, senza però perdere in competenza e finezza di analisi. Sasha Issenberg è senza dubbio uno di questi. A partire dalla globalizzazione vista attraverso il sushi, passando per il turismo medico dei cittadini americani nel mondo, fino alla scienza delle campagne elettorali.
Quest’ultimo tema è stato oggetto di un libro uscito esattamente dieci anni fa nel 2012 e che esaminava quel complesso mondo composto da sondaggisti, scienziati dei dati, analisti comportamentali e professionisti di varia natura che cerca di indovinare con una raffinatezza crescente cosa vogliono gli elettori e come un candidato possa soddisfare questi bisogni senza snaturare il proprio messaggio.
Su questo, Issenberg è un veterano nonostante la sua giovane età: ha seguito la sua prima campagna presidenziale, quella del 2008, come reporter per il Boston Globe, all’epoca guidato dal futuro direttore del Washington Post Marty Baron. La successiva, quella del 2012, lo ha fatto per il magazine liberal Slate. Nel 2016, invece, oltre a lavorare per raccontare la sfida tra Hillary Clinton e Donald Trump, ha fondato il portale Votecastr, dove si poteva seguire in tempo reale lo spoglio dei voti nei vari stati. Infine, nel 2020, ha lavorato per una piattaforma di giornalismo video, The Recount. Quattro campagne elettorali che hanno reso Issenberg uno dei più raffinati analisti delle campagne elettorali statunitensi. Però il suo ultimo libro, uscito nel 2021, intitolato The Engagement, ci racconta della campagna ventennale per legalizzare sul suolo statunitense il matrimonio egualitario, che oggi rischia di essere rimesso in discussione, stando a quanto affermato dal giudice della Corte suprema Clarence Thomas in una sentenza. Issenberg quindi spiega come anche i diritti civili abbiano un peso in questa campagna elettorale.
Normalmente le elezioni di metà mandato prospettano un risultato brutale per il partito del presidente. Sarà così anche questa volta?
Di sicuro le circostanze non sono per nulla buona per i democratici, specie perché il loro controllo della presidenza e del Congresso appare estremamente fragile. C’è preoccupazione per l’economia, anche se il mercato del lavoro va alla grande e la disoccupazione è ai minimi. Però l’inflazione si sta mangiando questa crescita e il rialzo costante dei prezzi dei beni di consumo porta gli elettori a voler punire il partito in carica. C’è da dire che però anche il midterm viene raccontato come una grande elezione nazionale, ma di fatto sono centinaia di elezioni per la Camera e il Senato e non è detto che questo trascinerà giù ognuno di questi eletti.
Anche se le premesse sono ottime per i repubblicani, c’è un certo disaccordo tra di loro: alcuni, come il leader al Senato Mitch McConnell, avrebbero preferito una campagna elettorale molto semplice, di attacco alla presidenza Biden sui temi dei prezzi, del crimine in crescita, dell’incertezza economica e della difesa dei confini. Altri come il senatore della Florida Rick Scott vorrebbero un messaggio più proattivo, di fatto chiedendo agli elettori se vorrebbero un ritorno alla presidenza di Donald Trump. Questo può danneggiare le chance dei repubblicani?
Esatto, e non sono solo i fan di Trump a volere un referendum su di lui: di fatto anche la Casa Bianca sta spingendo questo messaggio, facilitati dal fatto che alcuni candidati repubblicani hanno impostato il loro messaggio non soltanto su un programma trumpiano, ma puntando proprio sulla sua personalità, il negazionismo dei risultati delle presidenziali del 2020 e il desiderio che torni a sfidare il presidente in carica. In particolare, in Pennsylvania, Arizona e Georgia il campo di Trump ha contribuito a far vincere la nomination repubblicana a candidati che sulla carta sono meno eleggibili di altri sfidanti. Questo rende possibile attaccare le debolezze dei candidati e non soltanto difendere i provvedimenti emanati dall’amministrazione di Joe Biden.
Quindi che contributo sta dando Donald Trump? Contribuisce come un tempo a far eleggere candidati in difficoltà oppure semplicemente fa mobilitare i suoi nemici?
Di sicuro fa definire il Partito repubblicano in maniera negativa, come un’organizzazione personalistica e sua diretta emanazione. Spesso per un partito che sta all’opposizione è meglio essere più vaghi e dai contorni più indefiniti: Trump sta andando esattamente nella direzione opposta, dandogli margini ben precisi. Però questo li danneggia sia con gli elettori moderati che nei distretti incerti.
Allora questa è la ragione per cui i repubblicani in difficoltà fanno affermazioni del tipo “Trump ha fatto molte cose buone” ma esitano a chiedergli di dargli una mano con un comizio o visitando lo stato?
Esatto, questa è un’attitudine comune: Trump come programma elettorale, ma non come personalità. Il problema è che non si può dire esplicitamente a Donald Trump che la sua presenza non è gradita. Intanto perché c’è poco da fare: per un repubblicano non c’è coalizione vincente che non sia esplicitamente trumpiana, dato che senza la sua base di fatto il partito oggi non esiste o quasi. Però se lo si respinge esplicitamente, l’ex presidente si arrabbia e attacca il candidato, contribuendo alla sua sconfitta in modo attivo perché non abbastanza “leale”. Al contrario i democratici che preferiscono non farsi vedere con Joe Biden lo possono chiedere e non hanno alcun problema, dato che Biden tiene più al partito che a sé stesso.
Alcuni strateghi democratici stanno quindi cercando di ripulire i provvedimenti approvati cercando di staccarli dall’impopolare figura del presidente. Può funzionare o è un azzardo inutile?
Non è una cattiva idea: alcuni provvedimenti come l’Inflaction Reduction Act o la cancellazione del debito studentesco hanno una certa popolarità di per sé e gli elettori li apprezzano di per sé.
Veniamo infine all’aborto: a giugno dopo la sentenza Dobbs v. Jackson non si pensava che l’argomento avrebbe pesato fuori da un certo ceto intellettuale medio-alto. Il risultato del referendum in Kansas del 2 agosto ha dimostrato però che non è così. Quanto pesano i diritti come l’aborto in queste elezioni?
Abbiamo sottovalutato l’effetto immediato che possono aver per quelle donne che vivono in quegli stati ultraconservatori come Alabama o Missouri dove la cancellazione è stata quasi immediata e che quindi hanno sentito particolarmente gli effetti, così si sono mosse, come nel caso del Kansas. Già in passato il partito democratico ha tentato di far passare il messaggio per cui bisogna tenere all’aborto così come fanno gli attivisti. Spesso hanno fallito. Questa volta sembra che il messaggio sia passato di più, anche in virtù della minaccia incombente di una cancellazione generalizzata.
Novembre sarà il mese delle decisioni legate alle presidenziali 2024. Cosa decideranno di fare Joe Biden e Donald Trump?
Se Joe Biden, una volta compiuti gli ottant’anni, sceglierà di non ricandidarsi, ci saranno primarie aperte dove magari parteciperanno molti candidati del 2020: non solo la vicepresidente Kamala Harris, ma anche il segretario ai trasporti Pete Buttigieg e le senatrici Amy Klobuchar ed Elizabeth Warren, con l’aggiunta dell’ambizioso governatore della California Gavin Newsom, e probabilmente Harris non avrà un particolare vantaggio. Mentre nemmeno Donald Trump avrà vita facile, se sceglierà di candidarsi: sarà di sicuro il frontrunner, ma dovrà vedersela sicuramente con il governatore della Florida Ron DeSantis, l’ex segretario di Stato Mike Pompeo e anche l’ex vicepresidente Mike Pence, che forniranno tutti il loro personale messaggio di superamento del trumpismo che però ne includerà tutte le maggiori idee.
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