Se gli exit poll saranno confermati, la coalizione può sperare in una maggioranza superiore ai due terzi del Lok Sabha. Significa poter modificare la Costituzione
«Alcuni potrebbero definirmi pazzo, ma sono convinto che Parmatma (Dio) mi abbia mandato per uno scopo. Una volta raggiunto lo scopo, il mio lavoro sarà uno solo. Per questo mi sono dedicato completamente a Dio». Lo scorso 25 maggio, il primo ministro indiano Narendra Modi pronunciava questo discorso all’inizio della sua campagna elettorale in vista delle elezioni generali. Aveva in mente un obiettivo non proprio ultraterreno, ma certo di rara difficoltà per un politico indiano: ottenere con l’Alleanza nazionale democratica (Nda) guidata dal suo partito Bjp un risultato quasi senza precedenti, ben 400 seggi sui 543 del Lok Sabha, la Camera bassa del parlamento indiano.
Una promessa divenuta uno slogan di grande effetto, “Abki baar 400 paar” (“Questa volta, oltre i 400”), impresa riuscita una sola volta nella storia dell’India indipendente, all’attuale partito di opposizione, il Congress, e all’indomani dell’uccisione dell’allora prima ministra Indira Gandhi.
Le recenti elezioni generali indiane, le più lunghe nella storia dell’India, hanno chiamato al voto quasi un miliardo di aventi diritto (2 volte e mezzo gli elettori dell’Unione europea). Le pachidermiche operazioni elettorali sono iniziate a metà aprile, sviluppandosi in sette fasi che si sono concluse il 1° giugno, mentre la dichiarazione dei risultati è attesa per oggi, 4 giugno.
Nei giorni scorsi, dei sei principali exit poll indiani, appena tre hanno previsto il superamento del tetto dei 400 seggi, e va ricordato che in passato le anticipazioni si sono rivelate imprecise. Volendo fare una media tra i sei, la coalizione del primo ministro in carica arriverebbe a 360 seggi, contro i 145 seggi della coalizione India, acronimo di Indian National Developmental Inclusive Alliance, guidata dal Congress di Rahul Gandhi. Agli estremi, la previsione più ottimista arriva a far toccare alla Nnd quota 415 seggi, ma quasi tutte sono superiori ai 350 seggi.
Pare quindi certa, nonostante le accuse di possibili brogli da parte dell’opposizione, la conferma per Narendra Modi (il primo dopo Jawaharlal Nehru a vincere tre mandati consecutivi nella più grande democrazia al mondo), la cui Nda potrebbe assicurarsi più seggi rispetto a quelli vinti nelle elezioni del 2019.
Sarà interessante capire se la coalizione di Modi arriverà a una maggioranza superiore ai due terzi del Lok Sahba, perché questo consentirebbe al primo ministro di cambiare la Costituzione del paese, o almeno questo è quel che temono moderati ed esponenti della società civile.
Altro fattore da accertare sarà l’avanzata di Modi in quel sud tradizionalmente più vicino alle posizioni del Congress e più lontano dalla retorica nazionalista e antimusulmana del primo ministro.
Gli exit poll prospettano per la Nda una vittoria piena in Karnataka, Telangana e Andhra Pradesh, ma soprattutto uno storico ingresso, anche se per una manciata di seggi, in Tamil Nadu e Kerala. Impietoso il quadro preliminare anche per il resto dell’opposizione: in Bengala Occidentale si annuncia che il Bjp supererà il potente Trinamool Congress guidato dall’energica Mamata Banerjee: stessa sorte per il primo ministro della regione della capitale, Arvind Kejriwal, leader (incarcerato) del partito di opposizione Aam Aadmi Party, ridotto ai minimi termini se non all’estinzione a Delhi.
Entusiasmo raffreddato
Se questi risultati saranno confermati, a restare scottati saranno anche i commentatori internazionali che, nelle ultime settimane hanno iniziato a intravedere nel costante calo dell’affluenza alle urne (solo in parte attribuibile alle temperature cocenti che hanno piegato l’India nelle ultime settimane) una iniziale disaffezione nei confronti di Modi, spinta dall’impennata di inflazione e disoccupazione. I leader del Bjp, compreso lo stesso primo ministro, durante la campagna elettorale sono stati accusati di aver violato i regolamenti elettorali, facendo uso di una retorica antimusulmana polarizzante, e di aver cercato di intimidire l’opposizione. Il primo ministro è stato tacciato di aver dato forma a un vero e proprio culto della personalità, ma a vincere, se i dati saranno confermati, sarà stato proprio il brand Modi, l’uomo salito al potere a livello nazionale esattamente dieci anni fa proponendosi come una figura incorruttibile, quasi ascetica, in grado di favorire lo sviluppo, proteggere i confini e aumentare il prestigio internazionale.
La sua conferma significherà che, agli occhi degli elettori, queste promesse sono state rispettate.
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