- Non è possibile comprendere William Barr se non si capisce il ruolo della religione nella società statunitense. È un’America assediata dal secolarismo e dall’immoralità quella che Barr vede già nel 1995.
- Così Barr ha deciso di lasciare il suo incarico da procuratore generale degli Stati Uniti dalla prossima settimana. La decisione è stata resa pubblica dopo tensioni già evidenti con Donald Trump.
- Fino all’insediamento di Joe Biden sarà ora il vice di Barr, Jeff Rosen, a guidare il dipartimento di Giustizia.
L’America brucia, sta lentamente scivolando verso l’abisso. È racchiuso in questa immagine apocalittica il gesto politico di William Barr, ormai ex procuratore generale degli Stati Uniti. Prima la decisione di tornare nell’arena e poi quella, a quanto sembra, di ritirarsi una volta per tutte.
Sul perché un rappresentante dell’establishment di Washington, un giurista di vastissima esperienza, abbia deciso che fosse giunta l’ora di tornare nuovamente ad avere un ruolo di primo piano sono state avanzate molte teorie: la sua concezione del ruolo dell’esecutivo nel sistema federale di governo, la sua estrema fedeltà al Partito repubblicano.
Tuttavia, come ha scritto il New York Times nel dicembre del 2019, non è possibile comprendere Barr se non si capisce il ruolo della religione nella società statunitense. È un’America assediata dal secolarismo e dall’immoralità quella che Barr vede già nel 1995 in un articolo pubblicato sulla rivista The Catholic Lawyer dal titolo “Legal Issues in a New Political Order”: «Abbiamo vissuto trent’anni di permissivismo, la rivoluzione sessuale e la cultura della droga. La nostra morale tradizionale ha lasciato il posto al relativismo».
Barr intravede nelle forze organizzate dei media e della “cultura alta” gli agenti della decostruzione della morale tradizionale, che contribuiscono a generare il clima culturale utile affinché il governo agisca ormai solo come sussidiatore di ultima istanza dei problemi sociali. Un governo che risponde non incoraggiando, ad esempio, la responsabilità sessuale, ma «incentivando la distribuzione dei preservativi».
La battaglia a questo punto a lui sembra ormai persa, forse anche la guerra. Così Barr ha deciso di lasciare il suo incarico da procuratore generale degli Stati Uniti dalla prossima settimana. La decisione è stata resa pubblica dopo tensioni già evidenti con Donald Trump, dovute all’atteggiamento di Barr e del dipartimento di Giustizia, che ha esplicitamente reso noto di non aver riscontrato irregolarità diffuse durante le elezioni presidenziali dello scorso 3 novembre.
Barr era stato inoltre criticato da Donald Trump, che lo accusava di avere informazioni da molti mesi sull’inchiesta sul figlio di Joe Biden per reati fiscali: «Una grande delusione!». aveva scritto il presidente. Fino all’insediamento di Joe Biden sarà ora il vice di Barr, Jeff Rosen, a guidare il dipartimento di Giustizia.
Chiamata alle armi
Nel 1995 Barr aveva un’idea precisa: lo sviluppo della morale pubblica avrebbe seguito lo sviluppo delle leggi. Il diritto era utilizzato dai progressisti in una culture war senza limiti per la promozione del secolarismo. Sarebbe allora bastato riprendere le leve del controllo della produzione del diritto per condurre la guerra all’avanzata laicista da una posizione di favore.
Ricalibrando il processo di produzione del diritto sarebbe stato possibile moralizzare la società e salvare la «tradizione»: «Quello che è reso legale, sarà in ultima istanza percepito come morale», scriveva nell’articolo del 1995. Un modo curioso di intendere il ruolo del diritto, della legge, da parte di un cattolico.
Un approccio molto protestante o quantomeno nella tradizione dell’Evagelical Catholicism, tipicamente statunitense, che prevede di privilegiare l’azione tramite la machina machinarum dell’apparato statale e non il necessario e profondo impegno sociale a partire dalle piccole comunità.
Quella di Barr era, già nel 1995, una chiamata alle armi: «Dovremmo rientrare in modo ordinato nel campo di battaglia invece di prepararci alla ritirata con ordine». Tanti anni dopo quell’articolo del 1995, Barr aveva visto in Trump la possibilità del ritorno in grande stile sul campo di battaglia.
Ma come nel 1995, anche oggi, l’analisi era sbagliata. Non è il diritto a guidare i cambiamenti morali e culturali. Sono questi ultimi a cambiare il diritto, che segue e non guida. Mentre alcuni hanno deciso di fare di Donald Trump il loro vitello d’oro e di continuare a seguirlo fino al suicidio politico rituale, Barr sta forse preparando davvero la ritirata. In attesa dell’Apocalisse e del giudizio di Dio.
© Riproduzione riservata