- Il perdente Terry McAuliffe è un navigato insider del partito democratico, noto per essere stato amico personale e strettissimo collaboratore di Bill e di Hillary Clinton, che lo hanno aiutato a raccogliere fondi.
- Ormai essere associati ai Clinton è tossico. Non è un caso che dopo la sconfitta di Hillary nel 2016 nel giro di quattro anni le donazioni alla Clinton Foundation siano dimezzate, arrivando a soli 30 milioni di dollari.
- L’elitarismo del candidato, unito a un sistema di relazioni opache, ha mostrato che appartiene a un gruppo di potere in disfacimento.
La formula un tempo vincente è diventata un peso. Un’originale mix politico strutturalmente intrecciato con il mondo del business e del lobbismo. Molte correnti politiche americane potrebbero corrispondere a questa descrizione, ma in questo caso è della sconfitta di Terry McAuliffe che si parla. Inaspettata, ma fino a un certo punto.
McAuliffe è un navigato insider del partito democratico, noto per essere stato amico personale di Bill e di Hillary Clinton, tanto da far loro da garante per comprare la residenza dove vivono adesso a Chappaqua, nello stato di New York e da essere nominato alla guida del partito.
Nel 2013 è stato abbastanza fortunato da intercettare un cambiamento strutturale nella Virginia, per anni un bastione del conservatorismo che andava oltre le appartenenze partitiche, dove gli attuali senatori democratici Mark Warner e Tim Kaine sono stati eletti governatori su piattaforme ultracentriste proprio per non inimicarsi quel substrato rurale che venerava ancora il generale Robert Lee come una sorta di “Cristo anziano” che li avrebbe protetti dai cambiamenti improvvidi della modernità come l’integrazione razziale.
Una scelta avveduta
La nomina del repubblicano Glenn Youngkin è stata avveduta. Sulla questione più divisiva, cioè Trump, ha mostrato un invidiabile equilibrismo: ha accettato di buon grado l’endorsement, ma non si sa come lo ha convinto a non farsi vedere sul territorio.
E del resto il suo avversario McAuliffe lo aveva accusato proprio di questo: chiuderà la campagna insieme a Trump. Invece no. McAuliffe invece ha sfruttato tutti i numi tutelari del partito democratico nazionale, dal presidente Biden, la sua vice Kamala Harris e il suo predecessore Barack Obama oltreché naturalmente Bill Clinton, che lo ha aiutato con un evento di fundraising in una lussuosa residenza privata nel lago di Skanealetes, vicino a Syracuse, nello stato di New York. Di certo non ha aiutato a farsi percepire come leader vicino ai bisogni dei suoi concittadini.
Il milionario Youngkin invece girava per lo stato, vantandosi al massimo degli endorsement di moderati come il senatore Mitt Romney oppure il governatore repubblicano centrista del Maryland, Larry Hogan.
Clintonismo tossico
Secondo il Washington Examiner, uno dei quotidiani conservatori più schierati, c’è di più. Ormai essere associati ai Clinton è tossico. Non è un caso che dopo la sconfitta di Hillary nel 2016 nel giro di quattro anni le donazioni alla Clinton Foundation siano dimezzate, arrivando a soli 30 milioni di dollari.
Un’altra alleata come Kirsten Gillibrand, un tempo vista come l’astro nascente dei democratici, scelta da Hillary nel 2009 come sua erede prediletta nella carica di senatrice di New York, ormai è un’entità politica inesistente, una premitasti del Senato che non rappresenta né un pungolo fastidioso come sono Joe Manchin e Bernie Sanders ai due estremi, né una lavoratrice costruttiva dietro le quinte com’è il suo collega Chuck Schumer.
Per McAuliffe, che ha mostrato il suo elitarismo affermando che «i genitori non dovrebbero impicciarsi di quanto viene insegnato ai loro figli a scuola» e favorendo una serie di attacchi infiniti da parte del suo avversario e dei media conservatori, ha mostrato di appartenere a un gruppo di potere in disfacimento.
Nella serie American Crime Story: Impeachment in onda in queste settimane, gli americani stanno rivedendo le vicende dell’impeachment clintoniano e ricordando le mosse ostruzionistiche della Casa Bianca per difendersi da quello scandalo sessuale divenuto politico. Di certo questo non ha invogliato gli elettori della Virginia a scegliere per la restaurazione, pur scegliendo un repubblicano non trumpista.
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