Il presidente tunisino rompe il silenzio elettorale e accusa i suoi avversari di corrompere i cittadini per astenersi dal voto e spinge i suoi a recarsi alle urne, ma l’affluenza rimane molto bassa
A un anno più tardi dal colpo di mano autoritario del presidente tunisino Kais Saied, che ha portato alla destituzione di alcuni membri del governo (tra cui il primo ministro Hichem Michichi) e alla sospensione delle attività del parlamento, i cittadini sono chiamati alle urne per votare la nuova riforma costituzionale che trascina il paese verso una forma presidenziale più rigida.
Dalle 6 di mattina alle 10 di sera i tunisini potranno esprimere il loro parere su una riforma che è stata molto criticata dalla società civile ed è stata scritta dai relatori dopo un giro di consultazioni online effettuate nei mesi scorsi alle quali hanno partecipato poche migliaia di persone.
Nelle prime ore del pomeriggio l’affluenza era del 12 per cento e a votare ci sono andati soprattutto gli adulti, stando ai racconti dei giornalisti internazionali presenti sul posto. Saied spera di raggiungere la soglia del 50 per cento dei voti, ma i più ottimisti dicono che se alle urne si recasse il 20 per cento dei cittadini aventi diritto è un grande risultato.
Ed è proprio Kais Saied tra i primi a essere andato a votare nella mattinata del 25 luglio, come hanno fatto nello stesso giorno del 1957 (un anno prima della nascita di Saied) quando centinaia di migliaia di tunisini hanno scelto la Repubblica al posto della Monarchia. Il presidente Saied ha votato nel suo quartiere natale di Ennassr – e non nel palazzo presidenziale a Cartagine – e dopo essersi presentato al seggio ha rotto anche il silenzio elettorale. «Insieme stiamo fondando una nuova repubblica basata su un’autentica libertà, giustizia e dignità nazionale», ha dichiarato ai giornalisti della tv di stato. Davanti alle telecamere Saied ha anche accusato i suoi oppositori, senza fornire prove, di distribuire denaro per convincere la gente a non recarsi alle urne e diminuire l’affluenza. «Non lasceremo che la Tunisia sia preda di coloro che la stanno perseguitando, dall’interno e dall’esterno», ha detto Saied.
Cosa prevede la costituzione
La nuova riforma è divisa in dieci capitoli contenenti 142 articoli e conferisce ampi poteri al Capo dello stato che esercita «il potere esecutivo assistito da un governo guidato da un capo di governo» da lui designato. L’esecutivo non ha quindi bisogno di presentarsi davanti al parlamento per ottenere la fiducia. Il presidente della Repubblica – eletto per un massimo di due volte – è anche il comandante supremo delle forze armate, definisce la politica generale dello stato e ratifica le leggi. Può anche sottoporre delle leggi al parlamento «che deve esaminarle in via prioritaria»
Il parlamento – i cui membri non potranno più cambiare gruppo parlamentare – comprenderà anche una seconda camera: il Consiglio nazionale regionale e territoriale, nominata direttamente dal territorio e che ha l’obiettivo – almeno questa è l’idea alla base – di garantire ai governatorati più poveri del paese una maggiore rappresentatività all’interno del parlamento.
La nuova riforma prevede anche l’istituzione di una Corte costituzionale formata da 9 magistrati, organo di cui il paese ne era sprovvisto nonostante la costituzione approvata nel periodo post rivoluzionario del 2014 lo prevedeva. Negli ultimi mesi il rapporto di Saied con la magistratura è stato molto teso. Il presidente ha licenziato decine di giudici e ha sciolto il Consiglio superiore della magistratura con accuse pesanti di corruzione, allarmando le associazioni a difesa dello stato di diritto.
Le proteste
Lo scorso venerdì un centinaio di manifestanti hanno protestato in Avenue Bourghiba, la strada principale del centro di Tunisi e dove ha sede il ministero dell’Interno, contro la riforma costituzionale varata da Saied. La polizia ha represso la folla con la violenza e ha anche arrestato alcuni manifestanti. Il clima in Tunisia è incandescente e anche per i giornalisti sta diventando sempre più difficile documentare cosa accade nel paese.
Durante il voto per il referendum la giornalista Erine Clare brown, corrispondente in Tunisia per The National news, ha denunciato via Twitter che nonostante le autorizzazioni e gli accrediti, la polizia le ha impedito di accedere ai seggi.
Il timore è che la nuova riforma possa portare il paese al periodo pre rivoluzionario, quando era nelle mani del regime autoritario di Ben Ali. Ma Saied assicura: «Non c'è nessuna dittatura, come ho detto nel documento esplicativo sui diritti e le libertà: questa Costituzione protegge (tali libertà), e la rivoluzione è difesa da persone che si oppongono a coloro che la minano». Ma i tunisini, sull’orlo di una crisi economica, sono rassegnati. La rivoluzione dei gelsomini del 2011 non ha portato i fiori sperati e tanto attesi.
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