- Con l’introduzione del tetto al prezzo sul petrolio russo, la Turchia ha iniziato a chiedere alle navi che passano per Bosforo e Dardanelli maggiori garanzie assicurative.
- Le compagnie assicurative riunite nel P&I Club si sono rifiutate di fornire questa documentazione aggiuntiva, scatenando quella che l’analista Işık definisce una guerra burocratica.
- Il timore della Turchia è che con l’introduzione del price cap aumenti il numero delle navi fantasma, ossia quelle imbarcazioni prive di assicurazione che trasportano il petrolio russo aggirando le sanzioni.
L’introduzione del price cap, il tetto al prezzo del petrolio russo deciso dall’Ue, sta iniziando a mostrare i suoi primi effetti sul mercato globale e in particolare sul traffico marittimo, direttamente interessato dalle nuove misure europee. Da lunedì diverse navi cargo sono ferme all’entrata degli stretti turchi – Bosforo e Dardanelli – in attesa del via libera delle autorità locali, le prime a dover fare i conti con le conseguenze del price cap.
L’accordo prevede che il petrolio russo possa essere trasportato e quindi esportato verso paesi terzi utilizzando navi cisterna degli stati membri del G7 e dell’Unione, ma limita l’accesso al mercato assicurativo europeo alle imbarcazioni il cui carico è stato acquistato a un prezzo pari o inferiore a 60 dollari. L’idea alla base del price cap è quella di consentire l’acquisto dei prodotti energetici russi, limitando però i guadagni per la Federazione nel momento in cui la guerra in Ucraina è ancora in corso.
Turchia in allarme
Le nuove misure europee hanno però messo in allarme la Turchia, che teme un aumento del numero delle “navi fantasma”, ossia di quelle imbarcazioni che trasportano petrolio russo ma che non hanno un’assicurazione a causa delle restrizioni imposte già nei mesi precedenti da Ue e Usa.
Per evitare che ciò accada, da lunedì il governo turco ha iniziato a chiedere una copertura assicurativa completa alle navi che attraversano i suoi stretti per accertarsi non solo che queste siano effettivamente assicurate, ma anche che non si verifichino delle violazioni delle nuove restrizioni. Le maggiori tutele richieste della Turchia hanno creato però non pochi problemi al traffico marittimo, come dimostra l’ingorgo creatosi all’entrata degli stretti.
Il problema al momento è di difficile risoluzione. Il gruppo internazionale P&I Club, che rappresenta le 13 maggiori compagnie assicurative che coprono il 90 per cento del trasporto marittimo mondiale, non ha intenzione di assecondare le richieste del governo turco.
«Stiamo assistendo a una guerra burocratica tra le due parti», spiega Yörük Işık, analista geopolitico. «Per il P&I Club le richieste della Turchia sono esagerate e vanno ben oltre ciò che loro, come gruppo assicurativo, possono fornire».
Ciò che Ankara chiede alle navi cargo è la conferma, da parte dei fornitori dei prodotti trasportati, che la copertura assicurativa rimarrà pienamente in vigore per coprire incidenti come fuoriuscite di petrolio e collisioni. Secondo il P&I Club, che ha risposto alle domande del Financial Times, dare seguito alle richieste turche metterebbe a rischio il gruppo stesso in caso di violazione delle sanzioni legate al price cap. Al momento però non sembrano esserci margini per una trattativa. «Mi sorprende che il P&I Club abbia scelto la strada del confronto aperto, anziché provare a raggiungere un compromesso. Le compagnie assicurative hanno subito attivato i loro contatti politici, ambasciate in primis, per far valere le proprie ragioni».
Flotta ombra
L’introduzione di nuove sanzioni e i rischi che queste comportano per la reputazione sta limitando non solo le grandi compagnie assicurative, ma anche quelle che forniscono servizi marittimi e che si occupano di navigazione. Ciò ha avuto due grandi conseguenze. Da una parte si è assistito a un cambiamento delle rotte del petrolio russo, che anziché dirigersi verso il mercato europeo viene ora venduto maggiormente in quello cinese e indiano. Dall’altra sono tornate in scena le cosiddette navi fantasma, imbarcazioni utilizzate in passato per aggirare gli embarghi sul petrolio imposti a Venezuela e Iran e impiegate adesso per commerciare i prodotti russi.
Come affermato da Claire Jungmann, chief of staff del gruppo statunitense United Against Nuclear Iran, almeno 21 di queste navi – che insieme rappresentano il 10 per cento dei cargo esistenti – hanno iniziato a trasportare petrolio russo e almeno quattro di recente hanno cambiato proprietario. Molto spesso si tratta di navi prive di assicurazioni, da qui la richiesta turca di maggiori garanzie da parte delle imbarcazioni che attraversano il Bosforo e i Dardanelli.
«Al momento, però, a fornire questa documentazione aggiuntiva è solo il P&I Club russo», specifica Işık. Le navi che continuano ad attraversare gli stretti, quindi, potrebbero essere proprio quelle che trasportano petrolio russo acquistato al di sopra dei 60 dollari al barile e che, grazie alle compagnie assicurative russe, possono fornire le rassicurazioni richieste. Il rischio quindi è che sempre più commercianti, visti i problemi con i loro P&I Club, si rivolgano a quello russo per continuare a operare.
L’ingorgo all’entrata degli stretti turchi è un segnale che i paesi del G7 e dell’Ue non possono ignorare. Affinché il price cap funzioni senza arrecare danni al mercato occidentale sarà necessario regolamentare quelle zone grigie che potrebbero essere usate dalla Russia per aggirare le sanzioni, come nel caso delle assicurazioni.
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