- Dal 2015 è in vigore un accordo di cooperazione militare tra Italia e Kazakistan volto a favorire l’export della difesa.
- Negli ultimi dieci anni il governo italiano ha autorizzato esportazioni di armi e materiali bellici al paese asiatico per oltre 1,7 milioni di euro.
- Il rischio è che parte delle munizioni acquistate dal Kazakistan siano usate per reprimere le proteste in corso dall’inizio del mese
Le proteste scoppiate in Kazakistan preoccupano le potenze regionali, Russia e Cina in testa, per le conseguenze che la destabilizzazione del regime di Qasym-Jomart Toqaev potrebbero avere sull’intera area, ma anche lo sguardo di Roma è diretto verso il paese asiatico.
L’Italia ha importanti interessi economici ed energetici in Kazakistan, come dimostrano i dati dell’Istat sulle importazioni di petrolio greggio, pari nei primi nove mesi del 2021 a circa 517,4 milioni di euro; o quelli dell’export di prodotti made in Italy, che nello stesso periodo di tempo ha toccato i 17 milioni di euro.
L’accordo militare
Ma i rapporti tra Italia e Kazakistan non sono solo di natura civile. Tra i due paesi è in vigore dal 2015 un accordo di cooperazione militare volto a favorire l’esportazione di materiale della difesa destinato principalmente ad Aeronautica e Marina, oltre che la compravendita di armi da fuoco e relative munizioni.
Fino a oggi l’accordo tra i due paesi in ambito militare non aveva destato particolare interesse, ma la sua esistenza assume tutt’altra rilevanza alla luce di quanto sta accedendo da giorni nel paese asiatico.
A inizio gennaio sono scoppiate diverse proteste ad Almaty e in altre città del Kazakistan in risposta all’aumento del prezzo del Gpl, passato da 0,12 e 0,24 centesimi di euro a causa della liberalizzazione del mercato.
Le manifestazioni si sono presto dirette anche contro il mondo politico e in particolare contro l’ex capo di stato, Nursultan Nazarbaev.
Le proteste però sono state ben presto represse in maniera violenta dalle autorità. Il presidente Toqaev ha infatti ordinato all’esercito di aprire il fuoco sulla folla senza preavviso, sfruttando tra l’altro la presenza nel paese di 2.500 militari inviati dalla Russia e dagli altri Stati dell’Organizzazione per il trattato di sicurezza collettiva di cui lo stesso Kazakistan fa parte.
Ad oggi, il bilancio è di 164 persone uccise nel corso delle manifestazioni, mentre il ministero dell’Interno ha fatto sapere che sono almeno 8mila i cittadini kazaki agli arresti.
Le armi italiane
Il rapido degenerare della situazione in Kazakistan ha acceso i riflettori sugli accordi militari tra il paese asiatico e l’Italia e sulle problematicità di tale intesa.
Come riportato dall’Osservatorio permanente sulle armi leggere e le politiche di sicurezza e difesa (Opal) e dalla Rete pace e disarmo, negli ultimi dieci il governo italiano ha autorizzato esportazioni di armi e materiali militari al Kazakistan per oltre 1,7 milioni di euro.
I prodotti maggiormente venduti al paese asiatico, secondo quanto si legge nelle relazioni governative al parlamento sull’export militare, sono armi automatiche e munizioni.
I dati relativi al 2020 dicono che il Kazakistan ha acquistato 32mila cartucce calibro 5.56 e 4.015 cartucce calibro 12 per canna liscia prodotte dall’azienda Fiocchi, nonché armi per uso militare dalla Beretta (28 pistole mitragliatrici Pmx calibro 9×19, parti di ricambio e caricatori supplementari). Il valore dell’export militare del 2020, secondo le statistiche del commercio internazionale, ha raggiunto un totale di 465mila dollari.
Il rischio, secondo gli attivisti, è che queste munizioni possano essere usate dalle forze armate kazake per reprimere le proteste in corso, motivo per cui viene chiesta la sospensione delle forniture di armi al governo Toqaev, oltre che l’accordo militare stesso.
Ulteriori export di armamenti al Kazakistan violerebbero infatti la legge 185/90, che proibisce l’esportazione di armi e materiali militari verso paesi in cui si registrano gravi violazioni dei diritti umani.
Gli accordi militari tra Italia e Kazakistan erano già stati criticati in passato a causa della mancanza di democrazia e rispetto dei diritti nel paese asiatico, ma la violenza con cui sono state represse le recenti proteste dovrebbero portare a una nuova discussione in Parlamento sui rapporti tra Roma e Nur-Sultan.
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