Non ci sono in vista forzature, spallate improvvisate. Le destre non cadranno per un colpo di Palazzo, per un’alleanza episodica, per una fiammata elettorale. La strada che hanno davanti le opposizioni è il cammino lungo della politica
Faceva impressione, ieri a Milano, durante il dibattito a Bookcity del libro curato da Gianni Cuperlo (La parola Pace. L’utopia che deve farsi realtà, Passigli), con Barbara Pollastrini, quella sala piena di gente che voleva discutere con la segretaria del Pd Elly Schlein non di Fitto sì-Fitto no alla Commissione europea, l’ultimo rifugio dei retroscena-zombie, ma del futuro della democrazia, con intelligenza e passione.
C’era la consapevolezza che non ci sarà un tempo breve, non ci saranno scorciatoie, di fronte alla portata (e alla violenza) della sfida che la destra mondiale sta mettendo in campo dopo la vittoria di Donald Trump. La lista dei ministri e delle nomine che il neo-rieletto presidente degli Stati Uniti sta via via sfornando, il ministro della Difesa che considera i generali del Pentagono pericolosi liberal di sinistra, il ministro della Salute no-vax (e anche no-Kennedy), il ministro della Giustizia già finito sotto inchiesta, potranno sembrare tratte da un film di Mel Brooks, ma sono un programma di governo, la rappresentazione di un potere che sempre di più si proporrà di piegare le regole della democrazia al comando.
Al confronto, Matteo Salvini con la cravatta rossa, che passa dal verde padano alle felpe blu nazionalista al colore dei repubblicani americani, Giorgia Meloni che fa le vocette al comizio, ma anche il “mi-si-nota-di-più-se” che si è scatenato sulla decisione o meno di restare sulla piattaforma di Elon Musk, sembrano i frammenti di un discorso pubblico impazzito.
Un sentiero stretto, un lungo cammino
Per questo riprendere a fare politica sembra quasi impossibile, rispetto a chi definisce brigatisti i magistrati eredi di quei giudici difensori della Costituzione che dalle Br e dal terrorismo nero furono massacrati, da Emilio Alessandrini a Guido Galli, da Vittorio Occorsio a Mario Amato. O di fronte a un sottosegretario alla Giustizia che esulta perché «non si lascia respirare» chi è nell’autoblindo, nell’anno record dei suicidi in carcere.
Ma percorrere il sentiero stretto della politica, sfuggendo alle opposte tifoserie che si tengono su a vicenda, è la prima responsabilità di chi vuole ribaltare questa situazione, a cominciare dal partito che guida l’opposizione.
A Milano c’era la preoccupazione, ma anche la consapevolezza che sarà un cammino lungo, faticoso. E che non si potranno riproporre le formule del passato anche recente. Il campo largo era una trovata asfittica, a tavolino, senza connotazione sociale né progettuale, uno spazio in cui ci si trova quasi per caso, non per restare ma per andarsene: infatti piaceva molto a Giuseppe Conte ma Schlein, in realtà, non ne ha mai parlato.
L’idea del centro alleato con la sinistra ha fatto la fine dello ius scholae con cui il ministro degli Esteri Antonio Tajani ha intrattenuto le piazze estive, come fanno le band con le cover nelle feste di paese a ferragosto. La Corte costituzionale ha spazzato via con la sua sentenza «le materie o gli ambiti di materie» dell’autonomia differenziata su cui si sarebbe disgregata l’unità nazionale, evitando guai peggiori, Roberto Calderoli e la maggioranza giocano con le parole per non riconoscere la disfatta giuridica e politica, ma la bocciatura della Consulta rende più difficile il referendum abrogativo dell’intero pacchetto sull’autonomia che ha segnato in questi mesi il momento di unità massima tra le opposizioni.
Fuori dal palazzo
E quindi: non ci sono in vista forzature, spallate improvvisate. Le destre non cadranno per un colpo di Palazzo, per un’alleanza episodica, per una fiammata elettorale: tutto questo ha segnato il decennio del Pd governista e lo ha allontanato dall’elettorato.
Tutto fa immaginare che di nuovo nelle due regioni al voto oggi e domani, l’Emilia Romagna e l’Umbria, il partito più votato sarà quello del non-voto, con grande giubilo dei tanti piccoli Ghino di Tacco, i taglieggiatori locali decisi a far contare la loro manciata di consensi.
Se la democrazia diventa un consiglio di amministrazione dove i voti si pesano e non si contano, perché importante è il peso dei micro-notabili, serve un lavoro di ricostruzione e un progetto di lungo periodo.
La vita concreta delle persone e una visione di società. Entrambe le cose sono mancate alla sinistra di questi anni, rattrappita nel perimetro del palazzo. Oggi è il momento di scongelare e rimettere in gioco il pezzo di paese che crede nella democrazia.
© Riproduzione riservata